Il dossier di Sol Trujillo su Telecom Italia torna in auge. Lo scrive Il Sole 24 ore spiegando che il manager, ex capo-azienda di Telstra, non starebbe lasciando la presa sul gruppo di telecomunicazioni. Trujillo, prosegue il giornale, negli ultimi mesi avrebbe presentato il suo piano di conquista di Telecom Italia a tutti i maggiori private equity internazionali (da Kkr a Blackstone per continuare con Apax e Bain Capital) e ai fondi sovrani più attivi nelle tlc.
Il suo, per ora, resta un piano molto difficile da realizzare, quasi velleitario. Trujillo, secondo le indiscrezioni riferite dal quotidiano, avrebbe ingaggiato la boutique statunitense Moelis, una delle più competenti nel settore delle comunicazioni, e costituito un team di dieci persone tra l’Italia e Londra. Difficile comunque pensare, secondo diversi addetti ai lavori contattati dal giornale, che il piano di Trujillo possa realizzarsi: troppe le difficoltà politiche soprattutto per l’esistenza nel perimetro di Telecom Italia della rete nazionale delle tlc, il network ora sotto i riflettori per il piano del Governo sulla banda larga. E anche negli ambienti interni a Telecom I. viene dato poco credito a Trujillo.
Secondo il documento, riportato dal Sole, il manager aveva ipotizzato di più di una semplice collaborazione pubblico-privato per Telecom Italia e non avrebbe mai potuto andare avanti senza il consenso del governo. Il piano, confezionato anche con la collaborazione di Francesco Sacco, attualmente consulente del governo e già collaboratore dell’ex mister Agenda digitale Francesco Caio, prevedeva di mettere insieme un team di esperti del settore e investitori di lungo periodo per un progetto industriale di management buy, finalizzato al “turnaround di Telecom Italia” e a rafforzare Tim Brasil evitando lo spezzatino.
Trujillo si proponeva come ceo del gruppo italiano per “lavorare in partnership con il governo e istituzioni pubbliche”, in modo da realizzare le ambizioni del Paese nel campo dell’Ict”.
Tre i step finanziari. Il primo: ottenere sufficienti voti per cambiare il management, rilevando il 20% del capitale di TI con l’aiuto di fondi sovrani e investitori di lungo termine che avrebbero gradito la presenza di Cdp e del suo fondo strategico con l’apporto di mezzo miliardi di “contributo”.
Secondo step: promuovere un aumento di capitale in Telecom per raccogliere 2,5-3,5 miliardi da investire in nuove reti e servizi. Un ulteriore miliardo sarebbe dovuto arrivare da Cdp per la parte di investimenti sul fisso. Il corollario di questa azione sarebbe stato l’acquisto di una quota di Metroweb per lanciare un piano per la fibra e trasferire la rete di una Netco. Ovvero una nuova società di infrastrutture.
Terzo step: creare, entro anno dall’insediamento del nuovo management, una società della rete dove tarasferore gli asset non necessari a gestire la rete mobile e che – colpo di scena- sarebbe stata partecipata al 51% da Cdp mentre TI si sarabbe dovuta accontentare del 49%.