Abito sorpassato o precursore delle tendenze della moda della prossima stagione? Da oggi a dettare quello che è in o out ci pensa Google, che, analizzando le 6 miliardi di queries relative alla moda effettuate sul suo motore di ricerca, sostiene di essere in grado di estrarre i trend più popolari per l’anno in corso e anche per le stagioni successive.
Attualmente, per esempio, i consumatori fanno ricerche su gonne in tulle, gonne longuette, pantaloni palazzo e jogger pants e Big G ha tutte le intenzioni di mettere a frutto questa conoscenza pubblicando due volte l’anno dei “Fashion trend reports” basati sulle ricerche effettuate dai suoi utenti. L’obiettivo è chiaro: Google vuole diventare un attore di peso anche nel settore dell’e-commerce e della moda andando oltre quello che può fare col classico motore di ricerca o la piattaforma di advertising.
Big G ha già pubblicato il primo di questi report sulla moda, quello “inaugurale”, in cui distingue tra tendenze “in forte crescita”, come gonne in tulle e jogger pants; ossessioni destinate ad essere solo meteore, come le gonne con gli emoticon stampati sopra e le felpe kale; e le tendenze “a crescita stagionale”, ovvero stili che ritornano ogni primavera con forza maggiore, come le tute bianche. In modo simile il report distingue tra trend in declino inarrestabile come gli abiti peplo, quelli il cui declino è solo stagionale (jeans a tubino) e mode ormai superate per sempre (i larghi foulard che si trasfomano in un mini-abito o una maglia).
Lisa Green, alla guida del fashion and luxury team di Google, dice che l’azienda ha già cominciato a lavorare con alcuni grossi marchi, tra cui Calvin Klein, per aiutarli a incorporare i dati in tempo reale delle ricerche su Google nella loro pianificazione di prodotto. Le aziende del “fast fashion”, per esempio, possono prendere un trend individuato da Google e sfruttarlo per creare in poche settimane prodotti in linea con le richieste espresse in quel momento dal mercato.
“Ci interessa essere potenti consulenti digitali per i nostri brand, non solo un’azienda a cui ci si rivolge per gli acquisti di pubblicità online”, afferma la Green. Queste aziende della moda che in poche settimane disegnano e mettono in vendita un capo possono trovare in Google chi individua per loro un trend da tradurre in abiti e acccessori, dice la Green.
L’ingresso di Google nel mondo della moda rientra nella più ampia strategia di Big G volta a mettere a frutto le informazioni su quello che le persone cercano online quando devono comprare qualcosa. Il colosso di Mountain View ha già fatto il suo ingresso nel mondo dell’e-commerce con servizi come Google Shopping (per confrontare i prezzi tra diversi negozi) e il più recente Shopping Express (per fare acquisti di generi alimentari nei negozi locali online e ricevere la merce a casa il giorno stesso o al massimo il giorno dopo). Ma le attività nel mondo dell’e-commerce di Google non sono ancora all’altezza di quelle di colossi come Amazon o Alibaba o di siti specializzati nell’abbigliamento come Yoox e Net-a-Porter.
Per Google, però, la ricerca dei prodotti è sempre più importante al fine di dare supporto al suo business “core” che consiste nel vendere pubblicità accanto si risultati della ricerca, compresi i risultati delle ricerche sui capi di moda. Google non è la prima azienda a usare i dati in suo possesso per prevedere dei trend: lo hanno già fatto altri gruppi importanti, da Ibm a Spotify (che, per esempio, offre agli artisti analisi gratuite per valutare la popolarità delle loro canzoni).
“Le persone tendono a fare previsioni sui trend sulla base di un numero molto limitato di osservazioni e questo non garantisce il successo”, afferma Trevor Davis, che ha guidato il progetto di Ibm per l’uso dei Big data per lo studio dei trend. “Ma quanto può essere accurato o utile il suggerimento di Google sulle tendenze della moda?”, si chiede Davis.
Una debolezza nell’approccio di Google è rappresentata dal fatto che i dati di Big G comprendono tutte le ricerche correlate all’ambito dell’abbigliamento e accessori, sia che una persona sia intenzionata a comprare quell’oggetto (o lo abbia già comprato) sia che stia facendo la ricerca per tutt’altro motivo (per esempio, per sapere che cosa sia il tulle).
Ma Ellen Sideri, fondatrice dell’agenzia di forecasting Esp Trendlab, cui Google ha chiesto di fornire una valutazione della sua analisi dei dati, ha indicato che il valore dei dati di Big G sta nel fatto che riescono a cogliere quello che alla gente interessa veramente e a capire anche quale parte della nazione esprime un certo gusto. “Ogni trend è sfaccettato, questo è l’aspetto più difficile da cogliere”, afferma la Sideri.
La Green conferma che i dati delle ricerche effettuate su Google hanno aiutato a portare allo scoperto tendenze emergenti e in rapida crescita della moda che erano sfuggite all’industria. “L’industria ha la sua specifica prospettiva, ma i nostri dati estratti dalle ricerche ci permettono di vedere quello che le persone veramente vogliono comprare”, dice la top manager di Mountain View. “E i nostri dati dimostrano che non è vero che tutti i trend hanno origine a New York o a Los Angeles e poi le altre città seguono a ruota”.
Infatti, l’analisi dei dati di Google segmentati per aree geografiche mostra un picco di ricerche per le tute bianche a maggio 2013 e per i pantaloni palazzo ad agosto 2013 a Jackson, Mississippi. Da lì entrambi questi stili si sono diffusi nel resto degli Stati Uniti. Stesso fenomeno è stato osservato per le gonne in tulle: Google ha registrato il massimo delle ricerche a ottobre 2013 vicino a Salt Lake City, Utah, ed è da lì che la tendenza è diventata “nazionale”.
Per ora Google dice che metterà il suo database gratuitamente a disposizione dei retailer e di chi segue i trend nella speranza di conquistare partner e anche di acquisire un nome nel mondo del fashion. E ha garantito anche che non abbinerà i dati delle ricerche sul suo motore con i dati dei clienti provenienti dai retailer per costruire poi pubblicità mirate.