Piano Ngn, a Telecom si chiede troppo

Nicola D’Angelo analizza il piano del governo: “La richiesta fatta a TI di entrare in una eventuale newco non regge. In questo modo si rischia di svendere il futuro dell’ex incumbent”

Pubblicato il 08 Mag 2015

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«È arrivata la bufera, è arrivato il temporale, chi sta bene e chi sta male e chi sta come gli par». La famosa filastrocca di Rascel nacque in Africa Orientale quando il cantante conobbe Italo Balbo che era allora Governatore della Libia. Renato gli pose la domanda che tutti gli italiani avevano sulla bocca: “L’Italia entrerà in guerra al fianco dell’alleato tedesco?”. Balbo rispose: “signor Rascel, se l’Italia fa la guerra con Hitler io mi taglio i cosiddetti…”. Rascel tornò in Italia e disse a tutti di stare tranquilli, ma quando la guerra arrivò non gli rimase che cantare “La bufera”. Con tutte le differenze del caso (quella poi fu davvero una tragedia) qualcosa di simile sta capitando con il Piano della larga banda. Il Governo, stentoreo, nelle settimane scorse ha annunciato sfracelli per arrivare agli obiettivi posti dall’Agenda Digitale europea. Qualcuno, meglio non far nomi, ha detto: “stavolta mi gioco la reputazione se non parte il Piano”. Ma la batteria doveva essere un po’ scarica e la macchina non si è mossa dal garage.

Per la verità gli annunci governativi, che avevano comunque il merito di smuovere le acque, sono sembrati subito un tantino utopistici, visti i tempi ristretti che ci separano dal 2020, data finale indicata dall’Europa per la diffusione capillare dell’ultrabroadband. Comunque meglio provarci che stare fermi e quindi calorosi saluti e abbracci agli eponimi nazionali della pianificazione europea. Poi un velo è sceso silenzioso. Non è certo la bufera di Rascel, quella faceva rumore, ma qualcosa di inaspettato è giunto. La lineaè sembrata più incerta: condomini tra operatori, società miste, Metroweb al centro, Telecom sì, Telecom no, e così via. Fino ad evocare Enel, sì proprio quella della luce. Strani e contorti scenari forse indotti dall’idea di creare una infrastruttura di rete di nuova generazione del tutto alternativa a quella esistente e a forte controllo pubblico.
Avvisate gli amici che dall’altra parte del mondo, in Australia, ci hanno provato e sono poi tornati indietro. Eppure quelli sono tipi tosti abituati all’arido bush australiano, mica sono i nostri.

Intanto, mentre si perde tempo a costruire le immaginifiche caratteristiche del soggetto che sarà il prevalente destinatario dei finanziamenti previsti dal Piano, in Italia langue lo sviluppo della larga banda. Quel che si fa e si prevede è tutto nel mobile, nei piani fibra di Telecom e nelle risorse di capacità del vecchio doppino in rame, sempre più spremuto dalle tecnologie di compressione.

Telecom può portare molte croci (per tante sue responsabilità), ma francamente la richiesta che le è stata rivolta di entrare in condizione residuale nel nuovo soggetto ipotizzato come epicentro del Piano è una cosa che non si può guardare. Telecom è una società quotata in Borsa, con degli azionisti e migliaia di dipendenti. Chiederle di rinunciare al suo futuro è come dire di svendere. Sono passate poche settimane dall’improvvido e poi ritirato annuncio sullo switch off per decreto della rete in rame, sarebbe il caso di non ripetere. Meglio a questo punto lasciare al mercato le iniziative del caso, magari dando sostegno più alla domanda. Andrà bene o andrà male, come dice Rascel, si vedrà.

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