Le tecnologie Ict del futuro, dicono gli esperti, sono prevedibili: il cloud, i big data, l’internet delle cose, la smartness variamente declinata nei settori applicativi (city, building, factory, health, energy, transport) insieme all’infrastruttura di riferimento di tutte quest iniziative (larga banda). Poichè c’è quasi tutto, la previsione non può sbagliare più di tanto…Dal Piano Quinquennale Cinese a Horizon 2020, alla Digital Agenda, questi temi sono riportati come le linee guida dell’innovazione. Invece, vi è minore attenzione alle risorse umane: sembra che l’idea di “nativo digitale” abbia in sé la risposta e che il problema sia il cosidetto “divide culturale” ossia quello che affligge coloro che sono “immigrati digitali”.
Le definizioni di Marck Prensky, semplificavano un più ampio paradigma, secondo cui: “il bambino è nativo nell’ambiente in cui i genitori vivono da immigrati”. Comunque Presnky poneva una questione più complessa della vulgata oggi da molti condivisa: ”se sei nativo digitale il mondo del lavoro è nelle tue mani”. Gli strumenti di comunicazione digitale sociale e le app hanno principalmente cambiato il linguaggio della comunicazione e dell’autorappresentazione. La ricerca svolta da Boston Group indica che le aspettative sul lavoro della Y(ouh) generation possono essere decodificate. La Y generation cerca il riconoscimento della qualità del lavoro, un buon rapporto con il superiore e con il collettivo e una attività che consenta la crescita culturale e professionale. Questi aspetti sono considerati prioritari anche rispetto alla retribuzione e alla stabilità finanziaria dell’azienda. Ma nei prossimi anni la Y generation incontrerà un mercato del lavoro che a livello europeo e internazionale presenterà opportunità in alcuni paesi (Germania, Svizzera, Polonia) e insufficienti posti disponibili in altri (Italia, Spagna Grecia). Le migrazioni intraeuropee saranno il principale meccanismo riequilibratore.
Contro questa realtà si scontreranno le aspettative della Y generation, a cui è stata raccontata la favola della virtualizzazione del lavoro online. Chi non ha messo in conto processi formativi di livello internazionale sarà in gravi difficoltà. La scuola deve colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro. Il Digital Economic and Society Index (Desi 2015) ci colloca in posizione 24/28 a livello Ue per dotazione di capitale umano nell’Ict. A livello alto mancano laureati in Scienze, Tecnologia, Ingegneria, e Matematica (Stem). Non sono competenze che l’esercizio sui social network e l’uso delle app possono estendere da pochi cultori alle nuove leve: la selfishness non basta. Se l’educazione scolastica non fornisse quegli strumenti i nativi digitali avranno difficoltà a trovare lavoro nel nostro Paese.