PUNTI DI VISTA

Startup, Carnovale: “L’Italia ha le carte in regola per vincere la sfida”

Nell’ultimo anno il nostro Paese è balzato al primo posto nella Ue per crescita degli investimenti in capitale di rischio e, parallelamente, il numero di investitori sta crescendo costantemente. L’analisi del presidente di Roma Startup

Pubblicato il 13 Mag 2015

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Il giovane movimento startup che si sta radicando nel paese, essendo basato su paradigmi particolarmente dirompenti per la cultura di impresa italica, è spesso oggetto di strali, ironie, se non vere e proprie ostilità, da parte delle più svariate direzioni. Mi è capitato due volte, negli ultimi mesi, di leggere su diverse testate commenti non proprio lusinghieri sulla scena attuale, da parte di un imprenditore di nome Edoardo Narduzzi, e mi sento in obbligo di ristabilire delle verità.

La prima risposta è ad un articolo di mesi fa, dove dalle pagine di un quotidiano Narduzzi argomentava su quanto secondo lui prodotto dalla Commissione Startup della Regione Lazio, l’organo di orientamento su questo nuovo tema intelligentemente costituito dal Prof. Fabiani, esimio economista che della Regione è il competente e saggio Assessore allo Sviluppo, ed a cui sono stato chiamato a contribuire.

L’imprenditore, nella sua analisi, criticava – associando con la Commissione – una serie di misure adottate dalla Regione, dando per assunto che queste fossero il prodotto della prima, e non sapendo che si trattava di code di attività decise da prima dell’istituzione dell’organo e su cui questo non era stato interessato. Il lavoro dei professionisti che hanno contribuito gratuitamente – e silenziosamente, aggiungo – alle molte riunioni ed audizioni della Commissione, nata al termine del 2013, si è manifestato inizialmente in una rappresentazione del modello startup di matrice statunitense e del suo ecosistema, con identificazione di quali asset a ciò asservibili siano presenti nella Regione, ad uso della Giunta e dei numerosi Dirigenti regionali. A seguire, è stato prodotto un documento che descrive quella che dovrebbe essere la strategia regionale in tale ambito, con molte misure ben descritte insieme all’obiettivo che ciascuna si propone di conseguire. Di tutto ciò, al momento sono state ufficializzate solo due misure, alimentate da fondi UE: una che rafforza la patrimonializzazione nel micro-seed di startup che siano prequalificate da un investitore in capitale di rischio, e una seconda che rende disponibile a tutto l’ecosistema un budget di contribuzione a piccoli eventi finalizzati a sviluppare ed acculturare la comunità degli innovatori. Azioni efficaci a costo marginale, ad oggi in tutto 1.5 milioni di Euro l’anno.

La seconda volta in cui ho letto un commento di Narduzzi è di qualche settimana fa, sul Cor.Com, dove definisce il nostro scenario terzomondista, privo di consistenza industriale, e cavalcato dalla politica per fare fumo. A dimostrazione di ciò fa un confronto tra modi, tempi e costi per costituire una startup nel Regno Unito, in Germania ed in Italia, evidenziando come nel Regno Unito ci vogliano pochi minuti ed un euro di capitale, ed in Italia invece ci vogliano settimane, spese notarili, ed il versamento minimo di 2500 Euro.

Se avessi letto un articolo simile due anni fa, non avrei avuto niente da rispondere… ma chi ruota intorno all’universo startup italico, che Narduzzi temo frequenti poco, sa perfettamente che da molti mesi il capitale minimo si è ridotto ad un Euro anche in Italia, che con la Srls dal notaio si spendono poche centinaia di euro (come recentemente approfondito da Luciana Maci su EconomyUP), e soprattutto sa che è già da due mesi Legge dello Stato la possibilità di costituire una Startup Innovativa on-line, senza passare per il notaio, e che mancano poche settimane alla pubblicazione del sito su cui farlo.
In un’occasione, quindi, Narduzzi ha criticato i frutti di una supposta strategia regionale… che invece non vi avevano a che fare, ed in altra occasione ha descritto cose che sono semplicemente non più vere, perché già cambiate grazie al lavoro congiunto tra la comunità startup ed il legislatore.

Sono molte le differenze tra l’ecosistema startup italiano e quello UK, per non parlare di quello Usa, su questo Edoardo Narduzzi ha ragione. In primis l’esistenza di una categoria societaria speciale, scelta non ottimale ma impostaci dalla Ue. D’altra parte ambire ad uno scenario perfetto è irrealistico: sono solo pochi anni che da queste parti gli imprenditori non vengono più visti come nemici sociali, ma come creatori di valore. Negli ultimi tre anni sono stati fatti dei passi in avanti inimmaginabili, e molti altri se ne progettano per poter portare in qualche altro anno le nostre imprese innovative nella serie A internazionale. Solo l’ultimo anno ha visto l’Italia saltare al primo posto tra i paesi Ue per crescita degli investimenti in capitale di rischio nell’early stage, ed il numero di grandi aziende ed investitori che si attivano nell’ecosistema si sta costantemente accrescendo, mese dopo mese.

Dott. Narduzzi, in molti conosciamo l’argomento e contribuiamo attivamente con i legislatori perché quello in corso sia un percorso di crescita che non si fermi presto. Le critiche sono sempre ben accolte, il pungolo così come la divulgazione di cosa non va sono utili a motivare la politica, ma per cortesia facendo un po’ più di attenzione a puntare il bersaglio giusto. Sparare senza prendere la mira non è utile a nessuno.

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