PRIVACY

Dati personali, la stretta europea

Le nuove regole comunitarie definiranno per i prossimi 20 anni il perimetro d’uso delle informazioni. Ma il fenomeno della circolazione dei dati non è limitato ai confini dell’Unione, ma è il più vasto fenomeno transnazionale della storia dell’umanità

Pubblicato il 05 Giu 2015

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Ancora non mi è chiaro se è diventato di moda oppure no parlare di privacy, Internet e più in generale di diritto applicato alle nuove tecnologie.

Il termine moda, come noto, indica uno o più comportamenti collettivi caratterizzati da criteri mutevoli. Detta cosi, è chiaro che la moda non riguarda solo il vestire, il mangiare o il viaggiare, la moda interessa ogni attività dell’uomo, tanto che ciascuna di esse può facilmente essere esaltata o abbattuta da trend modaioli, più o meno consapevoli o estemporanei, talvolta anche irrazionali. I media sono poi il veicolo attraverso il quale le mode si propagano ad ogni livello.

Anche il diritto, diciamolo, non è immune dalle mode. Non lo è il diritto sostanziale né quello formale – si pensi ai periodi in cui andavano di moda i testi unici, dal testo unico ambientale a quello sulle telecomunicazioni, al codice privacy, oppure gli anni in cui dottrina e giurisprudenza non dibattevano altro che di danno esistenziale – e men che meno lo è la narrativa del diritto, ossia ciò che i media raccontano di volta in volta del diritto.

Forse allora, visto il proliferare di articoli su Internet e privacy, due mondi connessi tra loro e inscindibili, e visto che dalle regole sulla privacy dipende in gran parte la possibilità di capitalizzare e fare margini di profitto attraverso l’uso dei dati in rete, il diritto hi-tech è davvero diventato di moda.

Tocca allora provare a contribuire nel modo giusto. E come? Iniziando, magari, ad introdurre il tema dei temi: l’adottando regolamento dell’UE sulla circolazione delle informazioni personali.

Si tratta delle nuove regole comunitarie, in discussione a Bruxelles, che, attraverso la sostituzione della vigente Direttiva 95/46/CE, dalla cui implementazione deriva l’attuale quadro di regole sulla privacy (d.lgs. n. 196/2003), definiranno, per i prossimi venti anni almeno, il perimetro d’uso dei dati online e offline, la loro tutela, le modalità di impiego, le diverse finalità, le definizioni più pregnanti, le misure di sicurezza e, non da ultimo, gli strumenti di enforcement nelle mani dei Garanti europei e le relative sanzioni.

I tempi sono maturi, la vecchia direttiva fu adottata in anni lontani dalla rivoluzione di Internet e l’attuale crescita esponenziale dei dati in circolazione impone regole aggiornate, in funzione dei tanti nuovi modi di impiego dei dati, senza contare l’attesa esplosione dell’Internet delle cose, ossia degli oggetti inesorabilmente connessi in rete tra loro, che andranno a dar vita a nuove relazioni machine-to-machine a cui pian piano dovremo adattarci.

Il regolamento in discussione a Bruxelles, attualmente sui tavoli del Consiglio, dopo che Commissione e Parlamento hanno lavorato sodo negli ultimi quattro anni, ha il pregio di essere figlio del Trattato di Lisbona, ossia della Costituzione dell’Unione europea, che ha fatto assurgere il diritto alla protezione dei dati personali a diritto fondamentale. In più la scelta di ricorrere allo strumento del regolamento in luogo della direttiva, avrà il vantaggio di uniformare al massimo livello possibile le regole in Europa, considerata l’immediata sua applicabilità nei sistemi giuridici nazionali, senza la necessità di procedere a recepimenti che troppo spesso hanno generato disuguaglianze e asimmettrie tra i Paesi dell’Unione.

Ma il fenomeno della circolazione dei dati personali, per i diversi usi che le società contemporanee richiedono e soprattutto per soddisfare i bisogni dell’Internet delle cose, non è limitato ai confini dell’Unione, ma è il più vasto fenomeno transnazionale della storia dell’umanità.

Occorrerà prestare la massima attenzione alle dinamiche in evoluzione, perché da un lato, l’adozione di un regolamento, a fronte dei tanti vantaggi, non risolverà d’un colpo i molteplici aspetti, le difformità applicative e la creatività interpretativa degli Stati membri dell’Unione europea, data la complessità dei nostri sistemi giuridici; dall’altro, tuttavia, è illusorio credere di poter regolare Internet attraverso leggi in materia di privacy valide in primis per l’Ue, senza tenere conto del resto del mondo, Usa, Brics e Giappone, sopra tutti.

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