Le strutture turistiche hanno aspettato per anni di avere a disposizione informazioni sui loro clienti. Cosa pensano degli hotel in cui hanno alloggiato? Come hanno mangiato nei ristoranti? Quali servizi apprezzano? Cosa non gradiscono? Ora che anche il settore del turismo è stato invaso dai big data e per albergatori e ristoratori non ci sono teoricamente più segreti, è nato un nuovo problema: come gestire questa mole enorme di dati?
Una possibile soluzione la offre Travel Appeal, una startup fondata nel gennaio 2014 da Mirko Lalli e incubata in H-Farm, a Roncade (Treviso). La società, che ha ideato un sistema per analizzare attraverso i big data la reputazione digitale di hotel e, a breve, anche di altri tipi di aziende turistiche (b&b, agriturismi, ristoranti, musei…), ha attirato l’interesse di clienti attivi nel settore ma anche quello di una grande banca: Unicredit. L’istituto di piazza Gae Aulenti non solo è entrato direttamente nel capitale della startup, investendo nell’ambito del programma di accelerazione Start Lab 100mila euro in compartecipazione con H-Farm Ventures (che nel 2014 era già entrata in società con un investimento pre-seed di 250mila euro), ma ha persino cominciato a proporre direttamente in alcune filiali sul territorio il servizio lanciato da Travel Appeal.
Dopo una sperimentazione partita sugli sportelli di 4 aree (Ischia, Firenze, Venezia, Rimini), Unicredit ha in mente di vendere ai propri clienti attivi nel turismo il prodotto di Travel Appeal su tutta la rete di agenzie sul territorio a livello nazionale. In altre parole, a distribuire il prodotto di una startup è una banca: un fatto inusuale nell’ecosistema, che però potrebbe fare scuola. Ma c’è di più: l’istituto di credito guidato da Federico Ghizzoni sta anche pensando di utilizzare il Travel Appeal Index Score, il punteggio che il software dà alle strutture e ai territori in base alla digital reputation, come parametro aggiuntivo di valutazione del merito di credito.
“Non è un passo semplice usare un valore di reputation che viene dai big data della rete come parametro di rating di un’azienda”, spiega il ceo Lalli. “Ma vogliamo andare in quella direzione”. Nello specifico, Travel Appeal lavora su un concetto ampio di reputazione. “I big data che prendiamo in considerazione includono tutto quello che un hotel produce in rete relativamente alla propria attività, come viene percepito dal mercato ma anche quanto è bravo a raccontarsi sul web e a generare contenuti che possano convincere i turisti a sceglierlo”, aggiunge il fondatore.
L’algoritmo sviluppato dalla startup agisce su undici variabili che valutano informazioni offline e online generando appunto un punteggio standardizzato in base a cui mettere a confronto destinazioni e strutture turistiche. “I big data, così organizzati, permettono agli operatori turistici di capire cosa funziona nel proprio modello di business e cosa non funziona. Sono una soluzione per decidere meglio: si può andare ad agire su cosa non va migliorandolo e comunicare meglio gli aspetti che funzionano”.
Il sistema non è rivolto solo ad alberghi: Travel Appeal ha da poco concluso un accordo con l’Organizzazione Turistica Regionale Luganese. “È già pronto per tutto il mondo extralberghiero, quindi agriturismi, b&b, affittacamere, e per il mondo della ristorazione”, spiega Lalli. “Non l’abbiamo ancora lanciato ma è già funzionante. lo stiamo già testando con un set di potenziali clienti. In più, faremo anche una versione specifica per tutti i beni culturali italiani”.
Ciò che differenzia maggiormente Travel Appeal da altre società che operano con i big data applicati al turismo è, secondo il suo numero uno, il fornire indicazioni concrete agli operatori per migliorare la propria reputazione in rete. “Accanto all’analisi, diciamo esattamente cosa fare: altrimenti molti non sanno come utilizzare i dati. Così, lo strumento diventa molto più semplice da utilizzare rispetto a quelli attualmente sul mercato, che si limitano a offrire analytics”.
La formula di Travel Appeal prevede che i costi per accedere al servizio siano proporzionali alle dimensioni del cliente. “Storicamente lavorare con i big data può costare anche molto”, dice il ceo. “Invece, il nostro modello di pricing per gli hotel è legato al costo di ogni singola camera: l’albergatore paga al mese quanto una notte nella sua camera più economica. In ogni caso, mai più di 120 euro al mese”.