IL PROGETTO

L’ecosostenibilità va in orbita: D-Orbit riorganizza lo Spazio

È fra le 100 aziende più innovative al mondo la creatura fondata a Milano nel 2011 da Luca Rossettini e Renato Panesi. Lavora sui detriti spaziali per evitare che i satelliti non più attivi vaghino senza meta con ricadute che possono anche essere disastrose

Pubblicato il 12 Giu 2015

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“Non chiamateci spazzini dello spazio. Il nostro obiettivo non è solo fare pulizia in cielo, ma lanciare in orbita il concetto di sostenibilità”. Renato Panesi, co-founder di D-Orbit, ci ride su pensando al nomignolo che la stampa ha attribuito a quella che è considerata una tra le 100 aziende più innovative al mondo. E ci tiene a precisare: “Proprio l’idea di sostenibilità ci ha permesso di essere selezionati da Regione Lombardia e Unioncamere per partecipare a Expo 2015 nell’area startup del Padiglione Italia”. Il progetto, infatti, è lavorare sui detriti spaziali: un dispositivo di decommissioning viene installato a bordo dei satelliti prima del lancio in orbita così da rimuoverli in modo sicuro e controllato a fine vita. L’obiettivo è evitare che i satelliti non più attivi vaghino nello spazio senza meta.

“Lo spazio deve essere gestito in modo coscienzioso e sostenibile per evitare che le ricadute dell’innovazione tecnologica spaziale, anche se profittevoli oggi, abbiano poi impatti disastrosi per la società” spiega Panesi. Origini toscane, 39 anni, dopo una laurea e un dottorato in ingegneria aerospaziale all’Università di Pisa e un’esperienza pluriennale di ricerca e sviluppo nel gruppo Finmeccanica, nel 2009 vince una borsa di studio Fulbright per seguire un programma di Technology Entrepreneurship in Silicon Valley. E lì incontra Luca Rossettini, il vero ideatore del progetto di D-Orbit e attuale Ad della società. Veneto, 39 anni, laurea e dottorato in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano, Rossettini è un appassionato di sistemi a razzo e un esperto di sostenibilità, già ideatore di una startup attiva nel campo dei filmati slow motion e co-founder di The Natural Step Italia, azienda a sfondo green.

In Silicon Valley D-Orbit diventa un vero e proprio progetto di business: “Oltre a un’internship presso il centro ricerche Nasa Ames, abbiamo seguito corsi su business planning, development, pitching. Siamo tornati in Italia pronti per trasformare l’idea di Luca in una startup”.

D-Orbit viene fondata il 7 marzo 2011 a Milano grazie a un primo investimento di 300mila euro da parte di Quadrivio Capital Sgr. “Il nome deriva dalla mission della startup: deorbitare i satelliti. Inoltre è il nome che abbiamo dato alla targa della macchina che io e Luca abbiamo preso in California, dove è possibile personalizzare il nome delle targhe. La conserviamo ancora nel nostro ufficio” racconta il giovane imprenditore. Ai due co-founder si uniscono poi Thomas Panozzo, program director presso il consorzio europeo Arianespace, e Giuseppe Tussiwand, progettista di sistemi di propulsione a razzo. Dopo una prima sede a Sesto Fiorentino, presso l’Incubatore Iuf (attuale sede amministrativa), la startup, che conta 18 persone, ha sede legale a Milano e sede produttiva a Lomazzo nel Parco Scientifico Tecnologico ComoNext.

L’idea imprenditoriale non passa inosservata nell’ecosistema: D-Orbit ottiene riconoscimenti (da Mind The Bridge a Talento delle Idee, da Rice Business Plan Competition a Boston MassChallenge) e il sostegno delle Agenzie Spaziali di tutto il mondo. E nella comunità italiana del capitale di rischio non mancano investitori disposti a finanziare il progetto: alla fine del 2014 raccoglie un investimento di 2,2 milioni da parte del fondo TTVenture di Quadrivio Capital Sgr (1,95 milioni) e Como Venture (250mila euro).

“Gli investimenti ottenuti ci hanno permesso di realizzare il prototipo, iniziare i primi esperimenti in orbita, aprire una sussidiaria portoghese e una in California. Il prossimo obiettivo sono gli Usa. Insomma, siamo una startup multinazionale, con sedi oltreconfine” ironizza. Del resto D-Orbit si inserisce in un’industria, quella satellitare, che ha un giro d’affari di circa 200 miliardi di dollari l’anno, cifra che fa gola a molti. “Per realizzare il progetto e lanciare nel 2016 un satellite su cui sarà installato il dispositivo di decommissioning, abbiamo bisogno di qualche altro milione. Il mercato potenziale nella prima fase di go-to-market, infatti, ammonta a 2,1 miliardi di dollari per il solo prodotto da installare su satelliti prima del lancio. Oltre agli investitori istituzionali, ci piacerebbe avviare una campagna di crowdfunding: Expo potrebbe essere l’occasione giusta per farci conoscere anche dalla gente comune”.

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