Il cloud ha risolto alcune (forse molte) inefficienze economiche per le aziende, che per lungo tempo sono state un vero e proprio problema. Gestione dei propri servers, investimenti Capex, tasso di obsolescenza, relazioni con i fornitori hardware, sicurezza e business continuity. Ma anche il cloud ha i suoi problemi, o per meglio dire le sue idiosincrasie.
Si avverte adesso, dopo anni dalla partenza di questo mercato che diventa sempre più maturo ogni mese che passa, che è nell’aria un qualche cambiamento radicale. C’è bisogno infatti di affrontare molti dei problemi.
Uno dei temi fondamentali è stato innestato sul dibatto se affittare sia meglio che non comprare i server. E poi, l’impatto finanziario del cloud in una organizzazione, il cambiamento della spesa IT interna, la possibilità di gestire progetti cloud anche con i budget Opex al di fuori delle decisioni del board, la frammentazione e perdita di controllo centralizzata, il rischio delle incompatibilità e l’impossibilità potenziale di migrazioni dati da un fornitore di cloud all’altro.
Alla radice di questo dibattito c’è però il tema di che cosa venga effettivamente erogato tramite il cloud e con quali metriche. Avere accesso in buona sostanza a servizi di IaaS (servizi di infrastruttura) vuol dire scendere nell’arena dove si confrontano Amazon con i suoi Web Services, Microsoft con Azure, Google con il Compute Engine e Rackspace. Un ambiente complesso, con una molteplicità di possibili offerte tecnologiche (istanze standard, reserved, spot, con decine e decine di possibili configurazioni). Non è un tema di offerta da un punto di vista della frammentazione degli attori sul mercato, ma di frammentazione dei possibili prodotti. Molti, con dinamiche economiche molto diverse, sistemi di uso complessi, costi non semplici da calcolare (per buon ufficio della flessibilità) e utilizzi i più variegati.
Manca un consolidamento tecnologico. È il motivo per il quale da tempo si parla, soprattutto in ambito Linux ma il discorso è facilmente trasferibile nell’ambiente Unix (Windows invece pone differenti problemi, sul momento) di “container”. I containers (in sigla: LXC) sono funzionalità di Linux che permettono di isolare determinate risorse del sistema e di avere più sistemi Linux (gruppi di sistemi Linux) che collaborano al funzionamento di un unico host virtuale Linux. È una cosa diversa dalle macchine virtuali basate su hypervisor (ipervisore) del tipo che viene fornito da esempio da VMware. Richiedono meno potenza di calcolo, sono più piccoli e non hanno bisogno dello strato ulteriore dell’hypervisor. Sono basate tutte su tecnologie completamente open source e costituiscono una alternativa alla richiesta di flessibilità, agilità e risparmio nell’ambito delle risorse informatiche usabili per cloud pubblico, privato o ibrido.
Potrebbe essere questa la soluzione per cercare di ricreare una base più solida sia da un punto di vista tecnologico che economico di offerta nei confronti degli utilizzatori aziendali di servizi cloud nell’ambito delle IaaS, con una sorta di unificazione attorno a un valore economico digitale facilmente calcolabile e utilizzabile con maggiore flessibilità che non deriva però dalla frammentazione in molti prodotti e offerte diverse, ma semplicemente dalla modularità e modulabilità della tecnologia offerta.
Google e vari altri attori apripista del cloud (non come fornitori ma come utenti) utilizzano i container a miliardi per far girare in maniera razionale i carichi di lavoro su una galassia eterogenea di server. Il container è la dimensione intermedia (molto piccola) necessaria alla gestione della complessità perché consente facilmente la riorganizzazione tramite livelli di astrazione crescenti, compresa una forte componente di automatizzazione dei processi di creazione, di lancio, di gestione e di eliminazione dei container a seconda delle esigenze.
La presenza dei container sul mercato apre un nuovo scenario per il cloud, fa fare un salto di maturità all’offerta commerciale e mostra una strada che si allontana ancora di più dai vincoli hardware e dalle idiosincrasie della creazione e gestione di servizi utili agli utenti e “facili” per l’hardware di riferimento, portando un sistema più flessibile, compatto e funzionale per le macchine host, per i vendor, per i fornitori di servizio, per gli integratori di soluzioni terze parti e per gli utilizzatori finali.
È un semplice affinamento o è una trasformazione radicale del cloud così come lo conosciamo?