Adesso il campo di battaglia è quello dei professionisti che si occupano della progettazione di interni. Casus belli, una startup. Non valutata miliardi come Uber, ma una nuova impresa italiana con soli tre anni di vita: Cocontest, fondata a Roma dai fratelli Federico e Filippo Schiano di Pepe e da Alessandro Rossi. Ha creato una piattaforma di crowdsourcing che fa incontrare clienti che vogliono ristrutturare la propria casa e architetti pronti a proporre progetti ad hoc. La formula è quella del contest. Nella prima fase, il committente lancia una sorta di gara d’appalto online specificando esigenze e gusti. A quel punto, i progettisti inviano una seri e di idee entro le quali il cliente sceglie quella che più lo soddisfa. Ma il meccanismo dell’asta, ai professionisti, non piace affatto. Lo scorso 12 maggio nove deputati di forze politiche trasversali (Pd, Sel, M5s, Fdi-An) hanno presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi per verificare se Cocontest rispettasse le norme sulla libera professione degli architetti e sulla concorrenza. Si tratta della prima volta in cui qualcuno chiede conto in Parlamento dell’operato di una startup innovativa.
La prima firmataria dell’atto, Serena Pellegrino (Sinistra ecologia e libertà), anche lei architetto, sostiene infatti che il servizio fornito dalla startup romana non rispetta le norme che regolano il rapporto tra clienti e progettisti e determina una «schiavizzazione dei professionisti» perché li induce a lavorare gratis dal momento che solo il progetto vincitore riceve un compenso.
All’interrogazione in Aula si è aggiunta anche una denuncia all’Antitrust fatta dal Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori. «Innoveremo senza permesso», è stata la replica dei co-fondatori di Cocontest, che al momento si trovano a San Francisco per partecipare al programma di accelerazione di 500Startups.
Forte di una community di 20 mila designer, la startup sottolinea che non solo non c’è nulla di illegale nella loro attività, ma che è anche uno strumento che permette ai designer di proporre più facilmente i loro lavori.
A oggi gli architetti si sono scagliati solo contro Cocontest. Ma a ben vedere, di piattaforme che offrono servizi simili ce ne sono varie.
Finiranno tutte sotto accusa? Per esempio, Desall, startup incubata da H-Farm, a Roncade (Treviso), dal 2012 permette alle aziende di lanciare concorsi creativi di design industriale e di interni secondo la modalità del crowdsourcing.
Formabilio, che ha dalla sua una community di oltre 100mila iscritti, è un portale che vende online gli oggetti prodotti da circa tremila tra artigiani, designer e piccole aziende manifatturiere italiane, che vengono coinvolti attraverso gare ad hoc. O ancora, Habitissimo, una società spagnola fondata nel 2009 in cui ogni utente può pubblicare gratis una richiesta di preventivo per ristrutturazioni e lavori di casa e ricevere progetti da un massimo di quattro professionisti o imprese del settore. L’azienda, attiva soprattutto in Spagna, Brasile, Portogallo, Argentina, Cile, Messico, Colombia, Turchia e, appunto, Italia, ha nel suo “database” oltre 270mila tra professionisti e imprese e mezzo milione di foto di progetti. Sebbene in modo diverso, ognuna di queste piattaforme utilizza il meccanismo del contest tanto sgradito agli architetti.
Quindi tutti questi portali potrebbero finire nel mirino dei professionisti che si sentono “minacciati”. Se, invece, non fosse soltanto la formula della gara a indisporre, ma la semplice esistenza di spazi digitali in cui i clienti possano incontrare i designer con la logica del crowdsourcing, a quel punto anche l’ultima arrivata tra le piattaforme, Houzz, potrebbe creare qualche grattacapo. Si tratta di un portale online per la progettazione e ristrutturazione di interni che ha 30 milioni di utenti nel mondo e più di 700 mila professionisti del design. Dal 27 maggio è sbarcata anche in Italia con un sito in italiano che raccoglie già una community di 3.800 professionisti, 29 mila foto e oltre 100 mila utenti italiani che già utilizzavano la piattaforma americana.
E alla platea già esistente, si aggiunge potenzialmente un’audience ancora più ampia fatta da chi ama il design made in Italy in tutto il mondo. Basterà una denuncia all’Antitrust per bloccare tutta questa innovazione?