Il 21 aprile scorso, in occasione della Giornata mondiale del libro, il Capo dello Stato ha sottolineato l’importanza della tutela della creatività e i rischi cui essa è esposta in conseguenza del moltiplicarsi delle piattaforme informative e di comunicazione. Poche settimane dopo, il Presidente Mattarella è tornato sull’argomento nel corso della cerimonia inaugurale del Salone del libro di Torino, rilevando che nel mondo di internet il diritto d’autore richiede una tutela più attenta di quella che riusciamo oggi a garantire.
I moniti del Presidente della Repubblica rappresentano per l’Agcom un autorevolissimo sostegno e un forte stimolo a proseguire nell’opera intrapresa con l’approvazione del regolamento per la tutela del diritto d’autore online entrato in vigore il 31 marzo dello scorso anno. Com’è noto, il regolamento persegue i suoi scopi operando lungo tre direttrici, tutte ugualmente necessarie per contrastare in maniera efficace la pirateria informatica.
La prima di esse è l’educazione dei consumatori alla legalità. Fra i molti, soprattutto giovani, che scaricano file protetti da copyright senza darsene troppo pensiero, di sicuro pochissimi si rendono conto che quest’azione equivale a rubare un libro o un dvd in un negozio. E quasi a nessuno viene in mente che in questo modo si priva l’autore della giusta ricompensa del suo lavoro, contribuendo, in ultima analisi, anche a scoraggiare gli investimenti che sostengono la creatività e l’industria culturale. Manca, in altri termini, la consapevolezza del disvalore non solo giuridico, ma anche morale, sociale ed economico dei comportamenti che violano la proprietà intellettuale.
Vi è poi la promozione dell’offerta legale: occorre che i contenuti protetti da diritto d’autore siano disponibili sul web a prezzi ragionevoli e siano facilmente accessibili. Non certo a caso, ai positivi sviluppi che si sono registrati di recente in campo musicale ha fatto riscontro un aumento del fatturato del settore, in ambito sia nazionale sia europeo.
L’enforcement, la repressione delle violazioni, resta comunque indispensabile per combattere l’illegalità. Vale la pena di riepilogare, sia pure per sommi capi, i cardini essenziali della procedura: tempi ragionevolmente brevi; intervento solo su istanza di parte, il che esclude ogni forma di monitoraggio preventivo della rete; nessun coinvolgimento dell’utente finale; rispetto del contraddittorio, non solo nei confronti delle parti necessarie del procedimento, ossia gli internet service provider, ma anche in quelli di altri soggetti quali l’uploader e i gestori della pagina e del sito; misure improntate ai criteri di gradualità, proporzionalità e adeguatezza.
L’esperienza applicativa di questi primi quindici mesi ha dato finora risultati positivi. Un primo traguardo è stato raggiunto per il fatto stesso dell’entrata in vigore del provvedimento, grazie alla quale l’Italia è uscita, dopo ben venticinque anni, dalla watch list Usa degli Stati che non tutelano in maniera adeguata la proprietà intellettuale. Dal che non potrà che trarre giovamento la capacità del nostro Paese di attrarre investimenti esteri.
Il regolamento Agcom, inoltre, è stato come un sasso nello stagno, in quanto ha suscitato un vasto dibattito d’opinione sul diritto d’autore e ha contribuito a diffondere una maggiore attenzione per le esigenze di tutela della creatività in internet. A questa mutata sensibilità sono da riconnettere iniziative come il memorandum d’intesa con il quale la Iab Italia, associazione di operatori pubblicitari online, si è impegnata a non far allocare inserzioni dei propri associati su siti segnalati come dediti al commercio illegale dalla Fpm o dalla Fapav, le federazioni antipirateria in campo rispettivamente musicale e audiovisivo. E penso che abbia potuto giovarsi di questa nuova temperie anche il rinnovato impegno profuso da alcuni corpi dello Stato nel perseguire le violazioni del diritto d’autore commesse in rete.
Le misure inibitorie adottate finora sono state tutte ordini di blocco di siti esteri responsabili di violazioni di carattere massivo, a conferma del fatto che lo strumento messo in campo dall’Agcom mira essenzialmente a colpire la grande pirateria. I blocchi riguardano, com’è noto, il Dns e non l’IP. La loro efficacia è comunque dimostrata dal sensibile calo degli accessi, non di rado addirittura superiore al 50%, fatto registrare dai siti che per sfuggire al blocco si rigenerano cambiando, appunto, il Dns.
Ma il dato più significativo è rappresentato dal fatto che circa la metà dei procedimenti conclusi è stata definita a seguito di adeguamento spontaneo alla richiesta di rimozione del contenuto protetto da copyright. Non vi è stata, quindi, la reazione di rigetto da parte del popolo della rete invano preconizzata da interessati profeti di sciagure; al contrario, vi è la dimostrazione che il web è pronto, in larga misura, a farsi carico delle esigenze di tutela della legalità.
Ne esce sconfitta, insomma, una concezione della libertà della rete come assenza totale di regole, che vorrebbe trasformare internet – come ho detto e scritto in più occasioni – in una sorta di far west dove è lecito fare strame dei diritti altrui, magari con la comoda copertura dell’anonimato. Nel mondo virtuale si pone, invece, la stessa esigenza che è alla base della convivenza civile nel mondo fisico: evitare che l’esercizio dei diritti di libertà di ciascuno determini il sacrificio dei diritti degli altri. Sul web, come altrove, la libertà di manifestazione del pensiero non può dunque tradursi nella violazione del diritto alla riservatezza o della tutela dell’onore o del diritto di proprietà intellettuale.
Venendo, infine, alle prospettive, ossia al possibile rafforzamento della tutela auspicato dal Capo dello Stato, è sicuramente positivo che la Strategia europea per il digital single market segnali l’esigenza di approfondire, nell’ambito della revisione della disciplina sul diritto d’autore, il ruolo dei diversi intermediari che operano in rete. I nuovi assetti di mercato affermatisi negli ultimi anni suggeriscono, a mio avviso, di dedicare la massima attenzione non solo agli intermediari che operano in campo finanziario, pubblicitario e in quello della registrazione dei nomi a dominio, ma anche agli aggregatori di contenuti. Soggetti che sfuggono, allo stato, a un definito inquadramento giuridico: non sono infatti titolari, a stretto rigore, di responsabilità editoriale, eppure incidono in misura tutt’altro che secondaria, attraverso le funzioni di ricerca, sulla fruizione dei contenuti. Nel documento conclusivo di una recente indagine conoscitiva sui servizi di media audiovisivi, la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati ha parlato di una “zona grigia” nella quale tende ad agire tutta una serie di operatori. Penso che sarebbe il caso di accendere un riflettore per illuminare questa zona grigia.
E, tra le altre cose, sarebbe il caso di chiedere a tutti gli aggregatori di contenuti di retrocedere agli ultimi posti i siti oggetto di provvedimenti inibitori o sanzionatori emanati da pubbliche istituzioni degli Stati membri dell’UE, nonché quelli segnalati come dediti al commercio illegale da parte di qualificate associazioni di categoria.