In un articolo su questa testata l’avvocato Guido Scorza, sulla base di asettici numeri quali i provvedimenti adottati da Agcom, e una ricerca accademica con una dubbia base d’indagine si affretta a dichiarare l’inefficacia del regolamento in materia di diritto d’autore.
Certamente l’analisi negativa giunge anche interessata, visto che il regolamento ha sicuramente avuto il primo effetto di sostituire un certo contenzioso giudiziario sottraendo un ruolo a molti avvocati. Ma al di là di una mera difesa corporativa, andrebbe effettuata una verifica molto più approfondita ben oltre gli sterili numeri. Vale la pena allora di approfondire la questione, magari con un più preciso riferimento a ciò che è avvenuto, ad esempio, nel settore musicale.
Guido Scorza considera cinquanta decisioni complessivamente adottate come molto esigue ed ironizza sugli effetti che tali decisioni avrebbero avuto sulla pirateria. E’ un peccato che un esperto del settore che da anni si occupa di innovazione e proprietà intellettuale decida volontariamente di escludere un più ampio spettro di valutazione. Come tutti coloro che conoscono le dinamiche di servizi come Bit Torrent e simili, l’effetto di un blocco su un sito con centinaia di migliaia di link non si misura con lo stesso criterio della decisione assunta sul blocco di una pagina web che ospita una fotografia, è evidente. Il numero di segnalazioni che FPM, la federazione contro la pirateria multimediale, ha inviato ad Agcom sono in linea con quanto l’organizzazione ha promosso o promuove sul piano giudiziario penale o, insieme ad altre organizzazioni internazionali, ha posto in essere sul piano globale.
Come da FIMI ampiamente descritto in fase di audizione presso Agcom, nel corso dell’elaborazione del regolamento, la maggior parte della pirateria musicale era ed è concentrata in poche decine di piattaforme illegali a livello mondiale. Non vi è mai stato mistero che milioni di link sono disponibili su un relativo esiguo numero di cyberlocker. Questo è ulteriormente confermato dal fatto che a livello globale, i blocchi attivi sono poco più di 492, inclusi siti come Pirate Bay e altre piattaforme. FPM, solo in Italia, con Agcom, ha bloccato 17 piattaforme.
Allo stesso tempo i link inibiti sono ben oltre i 5 milioni e ognuno consentiva di raggiungere un’opera. I 17 siti bloccati, che si aggiungono alle altre decine bloccate nel corso degli anni tramite la magistratura penale e la Guardia di Finanza hanno consentito di raggiungere un soddisfacente risultato.
Considerando solo i portali bloccati tramite Agcom il calo medio a due mesi dal blocco è del 55%. Ad oggi è del 76%. Un dato interessante è costituito dal trend generale di Bit Torrent. Considerando tutti i portali (bloccati, non bloccati, redirect e nuovi domini per aggirare il blocco, apparsi dopo agcom etc), dopo l’implementazione del regolamento si è verificato un calo del 9% nell’utilizzo del protocollo bit torrent. Disponiamo del monitoraggio dal luglio 2010 e da allora si era verificata un crescita costante: +40% dal 2010 ad aprile 2014.
Tutti questi dati, elaborati dall’ufficio studi di IFPI, con l’ausilio di dati rilevati da diverse società che forniscono informazioni alle imprese che operano in rete mostrano una certa efficacia dell’intervento ma vi sono altre azioni coordinate che l’industria musicale ha posto in essere e che si affiancano all’azione di Agcom rendendo il sistema di enforcement più efficiente.
Milioni di link sono notificati a Google per il delisting e la conseguente sparizione di interi portali dalle prime pagine del motore di ricerca. Migliaia di notice & take down vengono inviati a siti di hosting per rimuovere link (siti che non possono essere bloccati perché attivi nel cancellare contenuti illeciti e altri notice & take down sono inviati ai social network per rimuovere link a pre release ed altri contenuti strategici.
Guido Scorza, nel suo intervento, porta a riprova del fallimento di Agcom una ricerca dell’Università di Padova che peraltro ha analizzato l’effetto solo su siti di cinema e audiovisivo, ovvero quelli segnalati da Fapav, e non musicali.
Vediamo dove tale ricerca offre elementi di criticità. L’errore metodologico più evidente risiede nel comparare un sito oggetto di inibizione con un redirect dello stesso sito, attivato come contromisura all’inibizione. L’eventuale trasferimento degli utenti sul nuovo sito non dimostra l’inefficacia del blocco (il sito oggetto dell’inibizione scende a zero utenti) ma semplicemente chiede l’adozione di ulteriori provvedimenti o di strategie diverse. Lo studio per esempio non tiene conto di siti per i quali è stata chiesta un’inibizione multipla di domini o successive richieste di blocco su eventuali redirect. Da notare che l’eventuale adozione del blocco congiunto IP e DNS permetterebbe di risolvere in maniera definitiva il problema dei redirect.
Strumenti utilizzati per la compilazione dello studio: Semrush è un tool per il SEO (search engine optimization), utilizzato per studiare il posizionamento di un sito ed elaborare le conseguenti strategie. Questo fatto impone una serie di considerazioni:
– il numero di accessi ad un sito, indicato nello studio non è un dato reale ma una stima basata sulle ricerche condotte su google. Di fatto, semrush calcola (in maniera parziale) quante volte gli utenti cercano su google un determinato sito (in maniera non esaustiva). Paradossalmente, anche in presenza di un effetto Streisand generato da Agcom, il dato non dice nulla sull’efficacia del regolamento: potrebbe per esempio accadere che tutto il traffico stimato da semrush si colleghi effettivamente al sito ma che lo trovi bloccato.
– i dati generati da semrush sono in palese contrasto con le stime fornite da altre ricerche (a volte anche in termini di decine e centinaia di migliaia di accessi ad un sito)
Lo strumento di elezione utilizzato per la ricerca del numero di accessi ai siti come detto è semrush. Curiosamente, quando semrush offre dati che non sono funzionali alla tesi di fondo dello studio, vengono utilizzati tool diversi.
A titolo esemplificativo: per filmitalia.biz viene utilizzato Similarweb che resituisce un risultato di 180.000 accessi invece di semrush che ne registra 36.000. Per torrent.cd viene utilizzato similarweb evidenziando la percentuale di accessi dall’Italia, sostenendo che grazie ad Agcom tale percentuale è passata dal 4 al 7%. Per quale motivo non è stato utilizzato semrush che evidenzia un calo di accessi dell’80% con tendenza all’azzeramento sul lungo periodo?
In alcuni casi (generalmente siti senza redirect – es. demonoid.ph), lo studio valuta gli accessi a due mesi dall’avvio dell’istanza come indicativi dell’inefficacia del regolamento. A parte il fatto che i dati fanno riferimento ad un mese e non due (tempi tecnici necessari), non si capisce per quale motivo non venga valutato l’effetto nel periodo successivo. Dal momento che gli accessi calcolati non sono reali ma stime basate sulle ricerche di google, appare perfettamente plausibile che gli utenti cerchino ancora i file su quel sito. A distanza maggiore di tempo dall’istanza, i presunti accessi (in realtá risultati della serp di google) crollano. Ad es. Demonoid: istanza avviata a inizio settembre e conclusa nella terza settimana dello stesso mese, blocco attivato presumibilmente a metá ottobre, utenti azzerati a gennaio (lo studio si limita a valutare quelli di novembre), senza un apprezzabile aumento degli utenti del sito redirect.
Guido Scorza conclude ponendosi la domande relativa ai costi del regolamento per l’autorità suggerendo, ovviamente interessato in quanto avvocato, una più efficace azione presso i tribunali.
Ci si dimentica che la giustizia italiana, soprattutto civile, non è sicuramente quella che si definisce una soluzione rapida per le controversie, e comunque cause e tempi lunghi della giustizia, se andiamo oltre al semplice cautelare, sono un costo non solo per le imprese ma anche per lo Stato.
L’introduzione di un parallelo procedimento amministrativo, compatibile con quanto previsto dalla direttiva sul commercio elettronico ha avuto sicuramente, fino ad oggi, il pregio di svuotare le aule giudiziarie, civili e penali, di alcuni contenziosi che sono stati più rapidamente risolti sulla base del proveddimento Agcom.
Non è quindi un caso che i più accerrimi nemici del regolamento Agcom siano alcuni avvocati civilisti e penalisti che ovviamente camuffano la propria opposizione corporativa dietro la difesa di diritti costituzionali.
Un’ultima conclusione. Le istanze, e di conseguenza i link ai siti oggetto di blocco, vengono pubblicate sul sito ddaonline.it. La stampa generica e specializzata non ha mai pubblicato notizie specifiche sui domini ma solo articoli di carattere generale. Se ne deduce che coloro che avessero voluto sfruttare il regolamento agcom come “database” di siti pirata, avrebbero dovuto cercare gli stessi sul portale Agcom.
Valutando le analytics di ddaonline.it (tool utilizzati Semrush e Alexa), si scopre che il sito riceve pochissime visite: Semrush ne indica un massimo di 2.300 al mese, Alexa non riporta i dati in quanto troppo bassi e quindi irrilevanti. Andando ancora più in profondità si scopre che la grandissima maggioranza dei referring sites (siti dai quali provengono gli utenti che visitano ddaonline.it) sono riconducibili ai titolari dei diritti che evidentemente controllano lo stato delle istanze presentate.
Come si può quindi giustificare un presunto incremento di decine o centinaia di migliaia di visitatori su più siti pirata grazie all’effetto “divulgativo” delle istanze?