Anche se per Ibm rappresenta un passo obbligato nello sviluppo della strategia cloud in Italia, il data center inaugurato da poco in provincia di Milano potrebbe essere definito un nuovo punto di partenza. O meglio un work in progress rispetto alle prestazioni e agli standard che Big Blue vuole ridefinire nella nuvola tricolore, che ora entra a pieno titolo nella rete globale Softlayer (dove, giusto per fare un esempio, girano i dati di Whatsapp) a cui faranno capo, entro la fine del 2015, 46 hub ultratecnologici. Realizzato a cavallo dei comuni di Cornaredo e Settimo Milanese con un investimento di 50 milioni di dollari, il campus si estende infatti, per il momento, su una superficie di 6.600 metri quadrati, occupando solo tre dei dieci moduli che saranno impiegati a pieno regime ricoprendo 22mila metri quadrati. La struttura ha un fabbisogno elettrico di 4,5 MegaWatt, scalabili fino a 60 MegaWatt, e sebbene sia già certificato Tier IV ambisce già a raggiungere parametri internazionali non ancora definiti nei registri dell’Agid. CorCom ne ha parlato con Maurizio Ragusa, Cloud Director di Ibm Italia e orgogliosissimo artefice del progetto.
Quali altri elementi rendono questo data center peculiare?
Ci sono alcuni aspetti che potrebbero essere considerati a contorno, ma che invece secondo me possono fare la differenza rispetto ad altre strutture eccellenti. Il data center è costruito in un territorio che per conformazione soddisfa criteri di ecosostenibilità e sicurezza ben oltre gli standard europei: è immerso nel verde, in un’area a bassa densità abitativa, lontano da rotte aeree, e questo ci consentirebbe di ottenere certificazioni già vigenti in America ma che in Italia ancora non sono state adottate, come la TIA-942. Inutile dire che dal punto di vista della connettività possiamo garantire una bassissima latenza.
Oltre alla Pubblica amministrazione, per quale tipo di clienti è pensata questa struttura?
Dal nostro punto di vista sono tre gli attori essenziali della trasformazione digitale: i responsabili IT delle imprese, gli sviluppatori e i business leader. Oggi i responsabili IT si trovano spesso nel dilemma del dover scegliere tra fare e usare. Le capabilities offerte dal cloud risolvono questo problema, permettendo ai Cio e ai Cto di continuare a sviluppare le tecnologie aziendali in modo flessibile, dando vita a prodotti scalabili e sicuri e liberando i Cfo da un bel fardello. D’altra parte startup, sviluppatori e mondo accademico rappresentano per l’Italia l’opportunità di recuperare il gap con gli altri mercati. In un Paese come il nostro rimane difficile capitalizzare le piccole imprese e per questo il contributo di Ibm si sostanzia non solo nell’infrastruttura messa a disposizione in logica pay per use con questo data center, ma anche nei due milioni di euro che abbiamo investito in 12 mesi a sostegno delle startup più innovative. E siamo orgogliosi di aver inserito all’interno del nostro marketplace internazionale una soluzione italiana.
E poi ci sono i business leader.
Sì, è sul versante dei dati a disposizione del top management che ci aspettiamo la rivoluzione più consistente. È con i Ceo che sempre più spesso ci confrontiamo quando si tratta di fornire servizi su misura, e al momento solo il 20% delle informazioni aziendali è fruibile da chi è chiamato a prendere le decisioni strategiche. Grazie al cloud si possono adottare nuovi modelli di analisi capaci di evidenziare e valorizzare un numero significativamente maggiore di dati.
Al momento il data center può ospitare 11mila server, ed è già predisposto per triplicare lo spazio a disposizione. Quando prevedete di saturare la struttura?
Le aziende di livello enterprise dovrebbero assorbire, a regime, circa il 30% delle risorse del data center, mentre circa il 25-30% degli slot sarà occupato dai servizi dedicati alle multinazionali attive in Italia. Teoricamente disponiamo di una larga autonomia, ma l’accelerazione di cui è protagonista il cloud rende per certi versi la situazione imprevedibile.