“L’Italia è sulla strada giusta per la banda ultra larga ma adesso bisogna accelerare in questa direzione”. Francesco Vatalaro, docente di Roma Tor Vergata, vede questa grande discontinuità rispetto al passato: regole e strategie sono ora finalmente chiare. Ma non basta.
Che cosa si aspetta a settembre, sul fronte delle misure banda ultra larga, dopo lo stand by del decreto Comunicazioni?
Non mi aspetto dirompenze. Ormai il panorama si è sufficientemente chiarito, anche in Italia. Nonostante le polemiche, spesso inutili, degli anni scorsi si è passati all’azione, anche se non è il caso di abbassare la guardia perché le difficoltà sono ancora tante e, senza alcuni correttivi, il ritardo del Paese sulle infrastrutture, quanto meno rispetto alla media degli Stati membri, potrebbe non essere colmato del tutto. E un grande Paese come l’Italia deve coltivare l’ambizione di superare la media europea su tutti i parametri del digitale.
L’Osservatorio sulle Comunicazioni di Agcom dell’ultimo trimestre disponibile mostra ancora in crescita le linee di nuova generazione: dopo varie incertezze del passato, la regolamentazione Agcom dimostra di avere imboccato la strada giusta. Non era ovvio, perchè la “querelle fra gli operatori” sulle tecnologie li aveva spinti nel pantano dell’inattività, e con loro l’ammodernamento del Paese.
Bene, ma che resta da fare?
Ancora c’è molto da fare per ammodernare il Paese e portarlo ad essere una piena Società digitale. Prima di tutto da un punto di vista che definirei “culturale”. Si sa che l’Italia non è un campione della concorrenza e facciamo fatica a scrollarci di dosso un certo approccio “dirigista” nel guardare al mercato. Allora questo vorrei che accadesse: una crescente prevalenza nell’immaginario collettivo della fiducia nell’innovazione e nelle regole della concorrenza, volendosi mettere in gioco.
Tornando alle infrastrutture per il digitale, un recentissimo studio di WIK commissionato dal regolatore inglese Ofcom chiarisce moto bene che “il principale fattore che ha fatto avanzare l’accesso di prossima generazione (NGA) è la concorrenza infrastrutturale – prima di tutto dai cavi e in alcuni casi da investitori FTTH indipendenti.” La prima forma è la ben nota concorrenza degli operatori CaTV, da tempo molto sostenuta nel Nord Europa; la seconda forma, di cui si parla meno, si è sviluppata speciamente nei Paesi dell’Est Europa che alla fine degli anni ’90 erano privi di rete telefonica efficiente e che, dovendo intervenire da zero, hanno evidentemente puntato direttamente sulla fibra ottica FTTH.
L’Italia, si sa, dopo molte incertezze ha scelto una “terza via”, quella della concorrenza su FTTC. Piaccia o no, sta funzionando e occorre incentivare gli operatori nelle aree del Paese ove già competono. Concorrenza, innovazione, fiducia, questo serve.
Le priorità?
La vera priorità sono le aree a fallimento di mercato, in termini di investimenti pubblici, e la promozione dell’adozione degli accessi a banda ultra larga con opportune politiche di incentivazione neutrali. In entrambi i casi si tratta di obiettivi di politica industriale, largamente discussi nei mesi scorsi: sulle infrastrutture il Governo ha fatto un buon lavoro che però andrebbe depurato da alcune estremizzazioni che possono rivelarsi un freno. A meno che l’arrivo, in autunno di Netflix possa surrogare quanto non è stato fatto, a volte colpevolmente, in tutti questi anni sul versante della domanda.
Quali sono i nodi principali, in questa missone?
In un’ottica di gradualità nell’allestimento delle infrastrutture il nodo, forse, più difficile da sciogliere è come fare per passare dall’odierna offerta di 30-50 Mbit/s nelle città ad oltre 100 Mbit/s, con una copertura del Paese che sia sufficiente a consentirne l’adozione da parte della metà almeno della popolazione residente. Escludo che ciò possa ottenersi in Italia solo con l’FTTH (o con l’FTTDp e il G.Fast). Da un lato alcune delle soluzioni fin qui proposte rischiano di essere distorcenti della concorrenza, con il rischio di rallentare- contro ogni buona intenzione- la crescente competizione dinamica. Dall’altro i costi rischierebbero di rivelarsi quasi certamente esorbitanti, sia per il pubblico che per il privato: da esperienze internazionali appare chiaro, infatti, come le difficoltà tecniche installative che si incontrano per l’FTTH possono rivelarsi ben maggiori del previsto.
E allora?
Allora non resta che mettere in campo tutte le soluzioni tecniche possibili per aumentare la velocità di trasmissione sul rame, salvaguardando e anzi promuovendo la concorrenza che sarà il più potente driver per avvicinare la fibra agli edifici in tempi brevi. I regolatori direbbero che “occorre creare nuovi pioli sulla scala degli investimenti” per aiutare gli operatori a salire. Nelle aree competitive del Paese questo è, senza dubbio, l’approccio adatto a conseguire più rapidamente la migrazione dal rame alla fibra.