Assprovider e Assintel plaudono alla sentenza del Tar del Lazio che ha annullato l’articolo 10 del decreto Spid che stabiliva a 5 milioni il minimo di capitale sociale per le imprese identity provider.
Per Giorgio Rapari, presidente Assintel, “è un primo grande risultato per ridare dignità alle piccole imprese digitali, in un Paese in cui l’Innovazione è troppo spesso appannaggio di poche grandi realtà che falsano il mercato”.
“La digitalizzazione del paese deve essere un processo partecipativo non discriminatorio e lo Stato non può contemporaneamente auspicare la nascita e sviluppo delle startup e poi limitare artificiosamente i settori nei quali queste possono operare – fa eco Dino Bortolotto, presidente Assoprovider – L’innovazione non è una questione di capitale sociale ma solo e soltanto di capitale umano. Assoprovider ritiene che sia giunto il tempo di rimuovere tutti i vincoli che frenano la diffusione dal basso dei servizi e della tecnologia, cosa che riguarda anche il vincolo di 1 milione di euro di capitale sociale minimo richiesto per divenire gestore di Posta Elettronica Certificata”.
La prima sezione del tribunale amministrativo ha annullato le prescrizioni contenute nell’articolo 10 del decreto della Presidenza del Consiglio (G.U. n. 285 del 9 dicembre 2014), accogliendo in toto le censure articolate dallo Studio legale Sarzana e Associati, relativamente ai requisiti necessari per esercitare le attività degli Identity Provider.
Il pomo della discordia è stato il requisito che impone un capitale sociale sproporzionato per potersi accreditare come fornitori dello Spid, capitale a cui gli operatori pubblici non sono invece soggetti: questo avrebbe dato luogo ad una indebita discriminazione in favore di questi ultimi, introducendo effetti distorsivi nel mercato e cagionando una rarefazione della concorrenza nel settore, in pieno contrasto con quanto prescrive l’ordinamento comunitario.