Un approccio pragmatico, per una rapida partenza del piano banda ultra larga. Un po’ come tagliare la testa al toro: su alcune misure e aree ci sono incognite e ostacoli? Allora partiamo subito nelle aree meno problematiche (quelle dove gli operatori non stanno investendo affatto) e con le misure già approvate da Bruxelles. E’ un’idea, qui espressa da Cristoforo Morandini, analista di E&Y, e che pure comincia a farsi strada tra gli attuatori istituzionali del piano.
Morandini, dopo tanto parlare di strategia banda ultra larga, fattualmente a che punto siamo, a un passo dalla pausa estiva?
Formalmente siamo più o meno dove eravamo dopo la pubblicazione della strategia banda ultra larga, a marzo 2015. Tuttavia, nella realtà sono successe un paio di cose molto importanti.
Da un lato, la strategia è stata declinata in azioni e l’ormai famoso “Decreto” è stato messo a punto, ma non è andato in onda, perché da un lato il piano deve passare al vaglio degli aiuti di Stato a Bruxelles e, dall’altro, gli operatori hanno rilanciato i propri progetti, modificando, di fatto, il perimetro del possibile intervento pubblico.
L’originalità del modello proposto e l’ambizione di incentivare un deciso salto di qualità nella realizzazione delle infrastrutture di nuova generazione, richiede una valutazione da parte dei funzionari europei che richiede inevitabilmente tempo, in particolare nelle aree dove sono già in corso investimenti privati. Anche valutazioni di complessità minore hanno richiesto tempi lunghi. D’altra parte, gli operatori privati hanno confermato e rilanciato i propri piani, probabilmente anche grazie all’attenzione governativa sull’argomento. In particolare, Telecom Italia rotto il ghiaccio anche sulle architetture FTTH (fibra fino a dentro le abitazioni), annunciando un piano per oltre 100 città. Metroweb non è, quindi, più sola a voler costruire le reti più avanzate oggi ipotizzabili.
L’elaborazione dei risultati della consultazione lanciata dal Ministero per lo Sviluppo Economico sui piani triennali per la realizzazione di reti di nuova generazione diventa fondamentale nella definizione dello scenario di riferimento, a partire dal quale si dovrà declinare la strategia governativa.
Quali sono i nodi da sciogliere?
I grandi temi rimangono essenzialmente tre: l’approvazione da parte della Commissione europea, la concertazione con i principali attori privati, la disponibilità delle risorse pubbliche.
Mentre l’ultimo punto viene tuttora considerato come il minore dei problemi (anche se una parte importante delle risorse previste dovrebbe essere attivata solo nel medio periodo), l’esperienza passata raccomanda prudenza e anche sul credito d’imposta si è capito che il tema della copertura non va mai dato per scontato.
Sull’approvazione da parte della Commissione si è già detto sopra dei tempi, difficilmente comprimibili, con l’ulteriore difficoltà che, a fronte di schemi di intervento innovativi, la tendenza è di norma quella di raccomandare fasi “sperimentali”, con l’ulteriore rischio di allungare i tempi.
La concertazione con e tra gli operatori non è solo un atto dovuto, ma anche un’esigenza per una razionalizzazione degli interventi che consenta di massimizzare i risultati e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, sia pubbliche che private. In altri termini, si può discutere sull’opportunità della concorrenza infrastrutturale spinta fino alla realizzazione delle infrastrutture FTTH, ma sicuramente non si potrà dispiegare senza la definizione delle regole del gioco nell’accesso agli edifici. I modelli internazionali ci sono (è sufficiente guardare alla Francia), vanno declinati in salsa italiana.
E come risolvere?
Se è possibile dare un consiglio, bisogna mantenere la rotta, ma cercare venti favorevoli per portare in porto le diversi componenti della strategia. Per fare questo occorre sicuramente rimodulare le aree territoriali in funzione degli esiti della consultazione, effettuare ulteriori previsioni sull’evoluzione prospettica, definire le finestre temporali più opportune (anche in funzione dei prevedibili scenari tecnologici) e liberare risorse e progetti, partendo dalle aree e dalle misure meno problematiche. In sintesi, una rivisitazione contemporanea e digitale del divide et impera.
Che cosa temi, invece?
Come troppo spesso accade in Italia, non sono le buone idee a mancare, ma la capacità di metterle in pratica. La difficoltà di governare la complessità rischia di allentare progressivamente la tensione sull’argomento, con il rischio di perdere di priorità nell’agenda governativa. A cascata, questo può comportare la perdita delle risorse ipotizzate, ovvero ritardi nella loro effettiva disponibilità.
Nominare una task force, non necessariamente costituita da “esperti di comprovata competenza”, ma piuttosto da funzionari interni all’amministrazione con un preciso mandato sulla materia potrebbe essere un’iniziativa semplice e efficace per seguire i diversi cantieri e dare definitiva attuazione alla strategia.