A volte ritornano. Dopo la prolungata eclissi causata dagli astri nascenti del mercato degli smartphone, Apple e Samsung in primis, seguiti a ruota dagli altri grandi produttori asiatici, Nokia sta seriamente pensando di tornare al mondo dei mobile device. Nonostante ad aprile il gruppo abbia smentito con forza l’ipotesi, oggi il numero uno Rajeev Suri (nella foto), secondo l’agenzia Reuters, sta pianificando un’operazione in grande stile per approfittare dell’abbassamento delle barriere all’ingresso in un mercato sempre più frammentato e dei primi segnali di debolezza (o maturità, dipende dal punto di vista) delle offerte Samsung e Apple.
Così Nokia starebbe ingaggiando risorse specializzate in software, testando nuovi prodotti e cercando nuovi partner per la distribuzione commerciale. Tutto in vista del 2016, quando scadranno i termini di un accordo siglato con Microsoft, in base al quale il Gruppo non può intraprendere iniziative che facciano concorrenza a Redmond (a cui, lo ricordiamo, era stata ceduta nel 2013 la divisione mobile device).
Il primo passo che ha sancito il ritorno al mercato consumer è stato in realtà il lancio a gennaio dell’N1, un tablet Android commercializzato in Cina, seguito qualche giorno fa da Ozo, un device ottico in grado di effettuare riprese per creare applicazioni di realtà virtuale. Ma Nokia ha cercato di far puntare i riflettori anche sul piano delle app (parliamo naturalmente sempre di Android), presentando Z Launcher, un content manager dedicato agli smartphone.
Nel frattempo continuano a spuntare su LinkedIn decine di annunci rivolti a tecnici e ricercatori della Silicon Valley. A maggio Nokia sembrava intenzionata a reclutare una settantina di risorse, e stando a quanto risulta a Reuters oggi sarebbero circa la metà le posizioni disponibili: rispetto al R&D, gli ambiti di azione per il medio termine spaziano, oltre all’ambito mobile, dal digital video all’healthcare.
Si tratta in altre parole di sfruttare l’enorme patrimonio di brevetti ancora in possesso del Gruppo, integrandolo e arricchendolo attraverso il perfezionamento dell’acquisizione di Alcatel-Lucent (operazione annunciata ad aprile per un valore di 15,6 miliardi di euro). L’obiettivo? Cavalcare i trend dei mercati e delle tecnologie, con un atteggiamento agli antipodi da quello mostrato a partire dal 2007, all’indomani dell’ingresso di Cupertino nel mercato degli handset, diminuendo i costi di sviluppo pur reagendo con tempestività agli input provenienti dai consumatori.
Le parole d’ordine sono dunque focalizzazione e flessibilità: dopo aver ceduto le mappe Here a Bmw, Audi e Daimler per 2,8 miliardi di euro, Nokia intende generare revenue vendendo alle terze parti – che si occuperanno dell’assemblaggio e della distribuzione dell’hardware – le licenze per lo sfruttamento del marchio, delle soluzioni tecnologiche e del design. Un approccio nel complesso meno profittevole, ma anche meno rischioso rispetto all’avvio e alla presa in carico di linee produttive proprietarie.
Il vero dilemma riguarda l’efficacia del brand: dopo tutti questi anni di assenza dalle scene del mobile, il marchio fino a meno di dieci anni fa sinonimo di telefonino può essere ancora competitivo? Il Gruppo dichiara che il brand è riconosciuto da circa quattro miliardi di consumatori in tutto il mondo, ma (dati Interbrand) se nel 2009 Nokia era tra i primi cinque top brand globali, oggi il logo finlandese è scomparso dalla classifica dei top 100. “Il marchio in sé serve a poco se il prodotto è simile a quel che è già disponibile sul mercato”, ha commentato Anssi Vanjoki, docente presso la University of Technology di Lappeenranta ed ex dirigente di Nokia. “Ma se si aggiunge qualcosa di nuovo o di interessante per il pubblico, allora l’antico blasone può tornare utile”.