LA RIFORMA

Il Jobs Act si arena sul telecontrollo

Slitta al Cdm della prossima settimana l’approvazione del decreto che regola i controlli a distanza dei lavoratori. Stando a quanto risulta a CorCom i tecnici di Poletti sono ancora a lavoro per trovare la quadra

Pubblicato il 27 Ago 2015

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Telecontrollo, tutto rimandato alla settimana prossima. Il Consiglio dei ministri di oggi non ha esaminato i decreti del Jobs Act relativi all’uso parte dei datori di lavoro di strumenti di controllo dei lavoratori, come computer, smartphone e telecamere che cambiano l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori. L’intenzione del governo sarebbe quella di limare il testo che aveva sollevato molti dubbi, sia da parte sindacale sia parlamentare – la commissione Lavoro della Camera ha chiesto a gran voce di rivedere il provvedimento. Ma i tecnici del ministro Poletti non riescono a trovare la quadra per modificare il testo e spegnere le polemiche delle scorse settimane sul rispetto della privacy e dei diritti.

L’articolo 23 del dlgs, che sarebbe dovuto sbarcare in Cdm, prevede che accordo sindacale o autorizzazione ministeriale non siano necessari per l’assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore.

Negli altri casi, invece, per installare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo servono l’accordo sindacale o l’autorizzazione da parte del ministero del Lavoro (per le imprese con più unità dislocate in una o più regioni).

Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, auspica che “il governo tenga conto dei punti di accordo trovati con le commissioni parlamentari su tante questioni importanti, a partire dai controlli a distanza”.

In questo caso, il tema non è solo la privacy del lavoratore che pub essere sorvegliato da remoto tramite videocamera, ma anche seguito via tablet, smartphone, badge, computer, portatile, mail. La questione sensibile riguarda piuttosto l’uso dei dati raccolti anche a fini disciplinari, cioè per licenziare il lavoratore. La soluzione trovata dalle commissioni Lavoro è quella di distinguere tra strumento che si installa e dispositivo che si mette in tasca. Nel primo caso – la telecamera – si chiede di tornare alle norme originarie dello Statuto dei Lavoratori del 1970. E dunque consentire la ripresa dei lavoratori per la salvaguardia del patrimonio aziendale o la sicurezza degli impianti. Ma solo dietro accordo sindacale ed escludendo l’uso dei filmati come causa di licenziamento. Nel secondo caso – tablet e smartphone – si lascia la norma nella versione del governo: controllo sì, senza accordo, ma con informativa al dipendente e possibilità anche di licenziare, utilizzando i dati raccolti.

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