La Procura della Repubblica di Genova ha disposto il sequestro per violazione del diritto d’autore del più famoso programma mondiale open source per vedere film in streaming, “Popcorntime”, disponendo l’inibizione all’accesso ai portali dove poter scaricare il programma. A darne notizia è sul proprio blog è Fulvio Sarzana, avvocato specializzato su diritti fondamentali e rete Internet.
A eseguire l’ordine di blocco è stata oggi la Guardia di finanza, su disposizione della locale Procura.
“Considerato l’alternativa worldwide non autorizzata a Netflix – spiega Sarzana – questo piccolo programma open source, installabile con qualche click, consentiva di vedere migliaia di film in streaming, con tanto di sottotitoli: non permette in realtà di ‘scaricare’ i dati da un server, ma sfrutta il sistema della condivisione, cioè il download di un file attingendo da più fonti, ovverosia gli utenti stessi”.
L’azione giudiziale della città Ligure, ha riguardato i portali con estensione .io e .se del famoso programma e la versione beta del programma Italiano, raggiungibile all’indirizzo popcorntimeitalia.com.
“L’azione della Magistratura Italiana – prosegue l’avvocato – segue a una intensa attività compiuta in tutto il mondo dalle grandi major del copyright, attraverso le Associazioni che le rappresentano, per colpire il programma e gli utenti che lo utilizzano. Popcorntime è infatti stata chiamata in causa negli Stati Uniti nella denuncia per violazione di copyright nei confronti di 11 suoi utenti, mentre in Danimarca gli autori di due siti con istruzioni per utilizzarlo sono stati arrestati”.
C’è però chi la pensa diversamente, sottolinea Sarzana, in Israele infatti la Corte distrettuale di Tel Aviv ha rifiutato il 1 luglio di omologare l’accordo intercorso tra i provider Israeliani e le associazioni di tutela del copyright, sul presupposto che il blocco dei portali, da cui poter scaricare il software, e sui portali che permettono lo scambio gratuito, sia in grado di violare i principi di libertà d’espressione e di diritto alla libera circolazione delle informazioni, anche perché un ordine di quel tipo, senza aver dato la possibilità al soggetto interessato di difendersi costituisce una violazione dei diritti di difesa. Inoltre, a detta della Corte – conclude il legale – un ordine di quel tipo renderebbe i provider di accesso arbitri di ciò che può essere visionato dai singoli utenti sulla rete internet.