La pietra angolare della rivoluzione mobile di Apple, che l’ha resa la prima azienda per capitalizzazione di mercato al mondo con un flusso di cassa pari al PIL di un paese medio piccolo, è il suo ecosistema di sviluppatori. E le app. Pare quindi logico che per la svolta business e soprattutto per l’assalto al salotto delle case di tutto il mondo quello fosse il partner naturale a cui rivolgersi.
Quando Tim Cook durante il Keynote di ieri sera ha lanciato la nuova Apple TV, che poi è una versione potenziata dell’attuale a cui è stato aggiunto anche un telecomando nero touch e con modalità di funzionamento simili al remote della console di Nintendo, la Wii, e la voce di Siri, non poteva quindi non mettere in campo le app e gli sviluppatori. E l’ha fatto nel modo più chiaro e diretto possibile. Ha infatti detto senza mezzi termini che secondo Apple il mercato della TV è stagnante da decenni, senza reali innovazioni, e che secondo loro il futuro passa dalle app. Tutto qui.
Cosa significa questa dichiarazione? Bisogna prima di tutto ricordare cos’è una app. Si tratta di un software pacchettizzato che viene comprato su uno store con una modalità di pagamento centralizzata (sia per l’acquisto iniziale che per l’eventuale successivo acquisto in-app) del quale Apple detiene tradizionalmente un terzo del totale lordo. Cioè di una app per iPhone che costa 99 centesimi, 33 vanno ad Apple e 66 allo sviluppatore.
Il modello dell’Apple store risolve brillantemente sia il problema della ricerca che della distribuzione e poi dell’aggiornamento delle app. Quest’ultimo è un passaggio importante perché nella logica di una costante evoluzione degli apparecchi – che Apple propone con un ritmo di uno nuovo ogni 12 mesi adesso anche in formula di “affitto” con aggiornamento automatico negli store Apple – il rischio delle incompatibilità che piaga storicamente ad esempio il mondo Windows o che fa soffrire a causa del l’eccesso di frammentazione i dispositivi Android, in casa Apple è sostanzialmente risolto. Attraverso lo store si procede anche all’aggiornamento del sistema operativo e Apple si preoccupa di modulare le necessarie compatibilità anche all’indietro, sui vecchi modelli, per garantire agli sviluppatori la più ampia base possibile.
Cosa vuol dire questo sul televisore di casa? Le app sono fondamentalmente di tre tipi. Il primo è quello che verrà realizzato dai broadcaster o dalle società di produzione o che gestiscono eventi sportivi. Dentro: video ma anche engagement, interazione, possibilità di contatto tra spettatori e con i marchi, cose impossibili in uno strumento di flusso “one-to-many” come è la televisione tradizionale, anche agli stereoidi, come nel modello on demand.
Secondo, i videogiochi. Apple ha già un mercato impressionante per il gaming mobile, con giochi passatempo e veri e propri bestseller dell’intrattenimento video ludico. Qui Apple flette i muscoli e balza in soggiorno, dentro il televisore, forte di un prezzo medio molto più basso di quello delle console Microsoft e Sony, e sperando di occupare in modo più semplice e “parassitario” questo ambito, per poi ovviamente dominarlo.
Infine, l’esperienza di shopping. Bill Gates al CES di Las Vegas per decenni ha cercato di convincere tutti che la casa de futuro avrebbe avuto grandi schermi ovunque con gesti per comandare funzioni di vario genere (dalla chat video sino al meteo e appunto allo shopping ). Non è mai stato però in grado di produrre niente di simile.
Oggi invece Apple con l’interfaccia naturale di Siri (parlare a un computer ha senso praticamente solo nel segreto di casa propria) e il telecomando che sembrano bacchetta di Harry Potter ci prova sul serio. Le app mostrate promettono bene. La trasformazione del brand Apple da tecnologico puro a lifestyle anche. Vedremo presto se riescono.