lasciano dietro di sé impronte “digitali”, nel senso di
elettroniche, che possono essere usate per l'identificazione.
Lo rileva un rapporto della Electronic frontier foundation (Eff),
organizzazione no profit Usa per la difesa dei diritti digitali,
secondo cui le accortezze usate dagli internauti per non essere
tracciati sono quasi sempre inefficaci. Usando il sito
panopticlick.eff.org, che compara queste configurazioni con un
database di circa un milione di utenti, i ricercatori hanno
infatti scoperto che nell’84% dei casi l’utente usa una
combinazione di impostazioni unica, che consente di tener traccia
delle sue attività online. La stima sale al 94.2% per i browser
aventi Flash o Java. Componendo il test “Panopticlick” ognuno
può verificare da sé la bontà dell’esperimento.
Stando all’indagine, il modo in cui gli utenti configurano un
browser di navigazione come Explorer, Firefox o Safari è già
una sorta di impronta digitale lasciata sul web. La parola
“impronta” è dunque la migliore per spiegare come il browser
possa diventare l’identificatore più attendibile della persona
che lo sta utilizzando, dal momento che la combinazione di vari
parametri è in grado di identificare univocamente tanto il
software quanto l’utente che lo ha installato, usato e
plasmato. Ma tutto ciò può essere estremamente deleterio per la
privacy in rete poichè tutto ciò non è mai stato davvero
approfondito o regolamentato. Stando al documento, un elemento in
grado di calmierare il pericolo è dovuto al fatto che
l’impronta non è stabile nel tempo in quanto dipendente
dall’uso dinamico e continuo che l’utente compie del proprio
software di navigazione. Ciò nonostante, l’uso combinato di
impronta ed ip permette ad alcuni siti di rigenerare cookie,
tracciando continuamente l’attività dell’utente e non
perdendone mai traccia lungo il percorso online.
“Noi abbiamo preso delle misure per rendere anonimi i
partecipanti al nostro esperimento, ma la maggior parte dei siti
non lo fa – spiega Peter Eckersley, Senior staff technologist
della Eff -. Alcune compagnie stanno già vendendo prodotti che
usano le impronte del browser per consentire ai siti web di
identificare gli utenti e le loro attività online”. Per questo
motivo, conclude lo studio, “la polizia dovrebbe iniziare a
trattare la registrazione di queste impronte come uno strumento
in grado di portare a un’identificazione personale
dell’utente, e fissare dei limiti”.