«Digitale per Crescere – Manifesto per l’Italia che ci crede», il documento elaborato da Assinform e Confindustria Digitale per richiamare la centralità dell’Ict nel rilancio della crescita, ha un valore oramai acquisito. È quello non di riproporre l’ennesima strategia-Paese per il digitale, ma di richiamare alla responsabilità di agire. In esso si riassumono le indicazioni per dare più rapida attuazione alla stessa Strategia per la Crescita Digitale lanciata dal Governo puntando su sette priorità: cultura digitale diffusa, sviluppo di ecosistemi digitali, habitat o vita digitale, PA digitale, impresa digitale, ricchezza digitale, sicurezza digitale.
Queste priorità sono oggetto di indicazioni chiare e puntuali, tutte molto focalizzate sull’impatto di talune evoluzioni e delle scelte conseguenti, evidenziando in definitiva, l’urgenza di agire. In Italia abbiamo accumulato negli ultimi 15 anni un gap digitale importante, limitando le possibilità di essere leader in settori ad alto valore aggiunto, di rilanciare settori maturi, di liberare il nostro sistema Paese da inefficienze godute da pochi e pagate da tutti. L’urgenza questa volta non è dettata solo dall’ampiezza del ritardo da colmare, ma dalle opportunità di recupero che offre la trasformazione digitale. Una trasformazione profonda, che cambia le regole del gioco e che consente, grazie e nuovi modelli di interazione e a una nuova generazione di tecnologie, di dare un vantaggio in più a chi la sposa, anche nel recupero di gap accumulati nel tempo.
Unica condizione: crederci , puntando a gestirla e ricominciando a investire. A questo riguardo i segnali stanno migliorando rispetto al passato. Le stime per una ripresa del mercato Ict nel 2015 si fanno sempre più solide e si accompagnano ad altri segnali favorevoli che non dovrebbero essere ignorati, come Assinform e Confindustria Digitale non si stancano di ripetere. Il primo riguarda l’attesa continuità della crescita dei mercati a più alta capacità innovativa – cloud, social, big e open data, mobilità, e-payments, Iot, smart community, ecc. – che dà conto della scelta dei principali settori d’utenza di investire in innovazione digitale. Il secondo è che anche lo stesso settore Ict ha iniziato, pur fra non poche difficoltà, ad evolvere di conseguenza. Già lo si vedeva dai dati Istat diffusi lo scorso giugno. Questi non si limitavano a mostrare il ridimensionamento per numero di imprese e occupati dei comparti ove si concentrano le attività più tradizionali, ma facevano notare già per il 2013 (ultimo anno disponibile) un promettente rallentamento delle dinamiche più critiche sulla spinta dei settori emergenti; settori cui molte aziende Ict, anche se non tutte, si stanno riconvertendo. In queste settimane si è avuta la conferma che qualcosa di vitale sta avvenendo. Secondo i dati Unioncamere-Movimprese, nel 2014 il numero di imprese di servizi Ict, considerando il saldo tra imprese create e cessate, è aumentato di 2.824 unità, e nel 1°trimestre 2015 è aumentato di altre 534 unità.
E anche il dato sulle startup innovative censite da Unioncamere, risulta da aggiornare in positivo: 4.200 a luglio 2015 contro le 3.500 di fine 2014. Sono davvero segnali positivi, che danno conto di potenzialità reali e di energie spontanee che non devono andare disperse. È in questo contesto che Assinform e Confindustria Digitale chiedono di agire, ponendo attenzione ad aspetti già impliciti nelle sette priorità indicate: l’execution, che poi vuol dire fare ciò che si promette; credere nelle startup innovative, creando le condizioni perché esse crescano e si facciano portatrici di innovazione anche presso le grandi imprese già affermate. Non deve più succedere che il 40% delle startup Ict di successo se ne vada all’estero.