Se per il consumatore medio il marchio Huawei è sinonimo di smartphone cinesi di fascia alta, chi lavora nell’ambito delle telecomunicazioni e dell’innovazione sa bene che il gruppo di Shenzhen è uno dei colossi mondiali delle infrastrutture di reti fisse e wireless, con partnership strategiche avviate insieme a nomi del calibro di Deutsche Telekom, Vodafone, Telecom Italia. Solo per citare alcuni dei nomi più noti. E non a caso la ripartizione del valore generato dalle tre business unit che compongono le attività globali di Huawei – Carrier, Consumer ed Enterprise – si attesta su percentuali piuttosto eloquenti: il comparto degli operatori telefonici genera il 67% delle revenue, quello dei device il 26%, le soluzioni per le imprese e il settore pubblico il 7%.
Ma la situazione (anche in Italia, dove le percentuali ricalcano quelle della corporation) è destinata a cambiare nei prossimi anni. La parte Carrier diminuirà a circa la metà degli introiti complessivi lasciando spazio a Consumer e soprattutto all’Enterprise che dovrebbe arrivare a generare nel 2019 10 miliardi di euro di fatturato. Come? Attraverso la nuova offerta di cloud computing integrato, che Huawei ha presentato stamattina a Shanghai davanti a una platea di oltre diecimila persone, tra partner, clienti, analisti e giornalisti provenienti da tutto il mondo.
La quinta edizione del Huawei Cloud Congress è stata l’occasione per annunciare l’avvio del nuovo impegno, già partito in Cina da qualche mese, in tutto il mondo. Durante gli interventi dei relatori incentrati sul tema “Make It Simple, Make Business Agile” il top management, a partire dall’attuale rotating Ceo Eric Xu, non ha presentato solo i nuovi prodotti e servizi destinati a creare architetture software e hardware di classe enterprise, ma anche una precisa dichiarazione d’intenti secondo la quale Huawei assumerà nei prossimi tre anni 10mila nuovi ingegneri e aprirà sette nuovi innovation center a cavallo di Cina, Europa, Medioriente Sudest asiatico.
Lo scopo è lo sviluppo di soluzioni capaci di aiutare Huawei (circa 46 miliardi di dollari di fatturato, in crescita del 12%, 170 mila dipendenti, il 10% delle revenue investito annualmente in R&D), che Xu definisce “uno small player del settore”, a farsi strada in mezzo ai giganti dello storage e del cloud computing. “La rapidissima evoluzione tecnologica di fatto pone tutti i competitor sulla stessa linea di partenza”, ha confermato Yan Lida, numero uno di Huawei’s Enterprise Business Group. E questo può rappresentare un vantaggio per noi, che con un’offerta giovanissima, una rete di partner assetati di innovazione e l’assenza totale di legacy non abbiamo i vincoli che hanno invece molti dei nostri concorrenti”.
La novità forse più affascinante introdotta con il congresso è il concetto di Industry Cloud. Nell’era del digitale, della condivisione e della personalizzazione senza se e senza ma, secondo i vertici di Huawei è poco raccomandabile anche solo provare a offrire un private cloud specifico per un settore verticale. D’altra parte la customizzazione spinta richiede risorse e tempi che il mercato non può più permettersi. Perché allora non ipotizzare un cloud tagliato sì per industrie specifiche, ma aperto, collaborativo, dinamico. In perfetta simbiosi con i dettami della sharing economy.
Media, Finance, trasporti, Government, Energy: sono tutti settori in cui le aziende potrebbero condividere all’evenienza non solo risorse computazionali, da gestire effettivamente quando ce n’è bisogno, ma anche best practice, strumenti e innovazione. “L’Industry Cloud”, ha aggiunto Lida, “aiuterà le imprese a gestire le risorse basate su Internet, a stringere accordi per iniziative condivise e, soprattutto per i nuovi business, a sfruttare il vantaggio di poter capitalizzare le esperienze di chi è già attivo sul mercato”.
I mercati a cui punterà, per lo meno all’inizio, Huawei sono in parte già stati chiamati in causa: Finance, Government, Energy in maniera più incisiva. A seguire Education, Internet Utilty e Media, rispetto ai quali il gruppo cinese può già vantare ottime referenze, avendo collaborato non solo in Madrepatria alla definizione di standard, algoritmi e piattaforme aperte e interoperabili, sfruttando le competenze nell’ambito della trasmissione di dati maturate in quasi trent’anni di continuo sviluppo nelle Infrastrutture di rete per gli operatori telefonici.
Senza contare che Huawei produce in casa chipset e dischi di memoria allo stato solido, che rappresentano una marcia in più non da poco quando si tratta di stabilire riferimenti su prezzi e prestazioni durante le gare per l’assegnazione di progetti cloud. Non a caso l’azienda è parte attiva nei programmi Open Container Initiative e Cloud Native Computing Foundation. “Ma”, ha precisato Lida, “continueremo a focalizzarci sul nostro core business, che non prevede la creazione di app o il contatto in prima persona con i dati dei nostri clienti”.
Per parlare infine delle novità di prodotto vere e proprie del congresso, il gruppo di Shenzhen ha presentato a partner e clienti tre piattaforme software: la versione 6.0 di FusionSphere, FusionInsight (piattaforma aperta per i big data analytics già adottata dalle tre top telco cinesi e da cinque dei primi dieci istituti finanziari di Pechino) e FusionStage.
Creata su misura per imprese e operatori, FusionSphere 6.0 abbraccia una filosofia open source a livello di componentistica, architettura ed ecosistema, ovvero sufficientemente flessibile per soddisfare le specifiche esigenze dei mercati verticali. Attualmente è utilizzata da circa mille clienti in più di 80 Paesi, sia da enti governativi che da infrastrutture pubbliche, nei settori della finanza, delle telecomunicazioni, dell’energia, dei trasporti e manifatturiero. Huawei ha inoltre annunciato la sua futura piattaforma di servizio dati: OceanStor DJ. Basata su software per la gestione dello storage di risorse e dati, OceanStor DJ fornisce servizi on demand di storage e gestione dei dati per potenziare l’efficienza operativa dei data center.