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Smart working, per il decollo serve rottamare la “base volontaria”

Da anni Federmanager lancia pressanti inviti perché vengano rimossi gli ostacoli al processo di innovazione nell’organizzazione del lavoro. Serve uno switch off dei tradizionali modelli lavorativi per consentire alle nuove generazioni di allinearsi agli standard europei e mondiali

Pubblicato il 02 Ott 2015

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E’ un piacere apprendere che sul tema che, in modo desueto, viene chiamato “telelavoro” e di cui Federmanager, la Federazione Nazionale dei Dirigenti Industriali, si interessa da alcuni anni, ci sia un certo fermento. Avranno certamente contribuito gli annunci che American Express ha di recente diramato comunicando di aver attivato una struttura che conta circa 300 collaboratori che opereranno secondo i criteri organizzativi dello smart work.

Saranno stati gli annunci dati dei prossimi convegni promossi dall’Osservatorio del Politecnico di Milano piuttosto di quelli programmati da Federmanager e da quello dell’Istituto di Studi Superiori della Donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum nel corso dei quali queste qualificate organizzazioni renderanno noti i risultati aggiornati circa l’utilizzo, nel nostro Paese, di soluzioni innovative e flessibili del lavoro.

Sarà l’impegno profuso da alcuni parlamentari (Mosca, Ascani, Saltamartini, Palmieri, Bonafè ed altri..) che sulla questione dello smart working hanno intrapreso una serie di iniziative tese a modificare l’architettura dell’attuale contratto di lavoro.

Sarà stato il contributo offerto da alcune testate giornalistiche, particolarmente sensibili ai temi dell’innovazione, tra cui Corcom – Il Corriere delle Comunicazioni, Net Consulting cube Magazine, che periodicamente hanno dato spazio alle iniziative che su questo tema si andavano diffondendo.

Ma credo anche che un significativo contributo alla diffusione di una problematica complessa che nel nostro Paese sconta ritardi culturali e tecnologici, sia stato dato da Federmanager.

Ma tant’è, l’importante è che su questo tema qualcosa si muova.

Sono anni che Federmanager, forte dell’esperienza di manager operanti in contesti aziendali avanzati, lancia pressanti inviti affinché si rimuovano rapidamente una serie di impedimenti che rallentano, in maniera preoccupante, il processo di innovazione dell’organizzazione del lavoro relegando il nostro Paese all’ultimo posto della graduatoria “dell’Europa a 28”.

Abbiamo in più di un’occasione dimostrato, attraverso analisi e ricerche, come l’adozione di modalità di smart working, nella stessa dimensione della media europea (8%) della forza attiva, rispetto alla nostra attuale percentuale che non supera il 3/4%, avrebbe determinato un’economia di scala di circa ¼ del Pil ( circa quattro miliardi di euro all’anno) in modo crescente in ragione del numero delle risorse coinvolte.

Una vera “manna” per i guru della spendig review.

Abbiamo sollevato, con forza, incontrando periodicamente i rappresentanti degli ultimi quattro Governi, l’esigenza di coinvolgere sulle problematiche dello smart working, la Pubblica Amministrazione Centrale e Locale e a tale riguardo abbiamo sollecitato Agid (Agenzia per l’Italia Digitale) a farsi promotrice di concrete iniziative.

Abbiamo attivato, da più di un anno, un “Blog” sui temi dell’innovazione tecnologica e di processo attraverso il quale stiamo raccogliendo contributi che stanno evidenziando il grave ritardo nell’uso di soluzioni che, se adottate, si rifletterebbero in notevoli vantaggi per i singoli dipendenti, per la comunità sociale nel suo insieme e per il mondo della produzione.

Crediamo, con sempre maggiore convinzione, che il “fattore culturale” più ancora del ritardo nell’adozione di infrastrutture abilitanti, rappresenti il vero ostacolo che rallenta l’accettazione di un nuovo modello lavorativo.

Riteniamo che una delle soluzioni al problema possa venire dall’eliminazione dei criteri di volontarietà attualmente previsti dalla fattispecie contrattuale.

In sostanza riteniamo che lo “Smart Work” debba essere considerato alla stessa stregua del lavoro “tradizionale” e quindi adottabile, senza differenziazioni, in ragione delle specifiche esigenze organizzative e produttive.

Eliminare il criterio e quindi le norme contrattuali che stabiliscono che lo smart working sia applicabile solo su base volontaria diventa il “via libera” all’adozione di criteri innovativi in linea con l’evoluzione delle soluzioni digitali e dei crescenti aggiornamenti tecnologici.

E’ così che una sorta di switch-off dei tradizionali modelli lavorativi consentirà, soprattutto alle nuove generazioni del nostro Paese, di trovarsi in linea con gli standard europei e mondiali che governano i processi di sviluppo dell’economia e della società.

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