STRATEGIE

Vivendi-Telefonica verso la fusione?

Allo studio ipotesi di aggregazione: la compagnia spagnola punta a rilanciarsi grazie ai contenuti, mentre la media company francese vuole conquistare 500 milioni di utenti

Pubblicato il 19 Ott 2015

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Vivendi e Telefonica stanno studiando un’ipotesi di aggregazione. Lo scrive il Corriere Economia, spiegando la logica alla base dell’operazione: la compagnia spagnola è interessata ai contenuti di Vivendi, “merce preziosa” al giorno d’oggi per ridare vita per iridare vita alle telco in difficoltà; Vivendi, dal canto suo, è interessata a raggiungere con i propri contenuti i 500 milioni di utenti di Telefonica.

Ci si chiede a questo punto quale ruolo toccherebbe a Telecom Italia, di cui Vivendi detiene la quota maggioritaria del 19,9%.

II ragionamento dietro le ipotesi d aggregazione Vivendi-Telefonica – scrive il Corriere Economia- rientra nel quadro europeo più generale in cui tiene banco il tema del consolidamento. In occasione dell’ultimo summit di Etno le big telco hanno chiesto alla Ue una libertà maggiore di mettere in atto operazione di M&A all’interno di un quadro regolatorio più light.

“Il nostro settore ha bisogno di economie di scala e i mercati devono funzionare a livelli ottimali”, hanno detto in una nota congiunta le dieci Telco”, dicevano i 10 cei riuniti a Bruxelles. Le telco chiedono regole più “light” per l’accesso alla rete ai concorrenti di mercato: secondo le telco, i prezzi devono essere regolati solo in casi eccezionali, un messaggio rivolto in questo caso al commissario Gunther Oettinger che sta rivedendo le regole Ue sul mercato delle Tlc.

“Siamo disposti a un patto pubblico-privato per investire decine di miliardi ma vogliamo sapere qual è il grado di libertà nello sviluppo delle tecnologie, quale sarà la disponibilità futura di spettro, quali sono i vari quadri di cui si compone il digital market europeo”, chiariva il presidente di Telecom Italia Giuseppe Recchi incontrando i giornalisti a Bruxelles.

Per Recchi la regolazione Ue “deve cambiare passando da un orientamento volto solo a liberalizzare il mercato a una fase di costruzione di un mercato favorevole all’ investimento, che tenga conto del fatto che l’evoluzione tecnologica non avviene più una volta ogni dieci anni, ma c’è un progresso continuo anno dopo anno”. Spesso il quadro di regolazione “insiste nel normare prezzi e condizioni antitrust, non è volto a premiare per investire a fronte del rischio che l’investitore corre, si basa su una definizione di ‘incumbent’ che non esiste più. In sostanza occorre passare dalla fase in cui ci si concentra sull’accesso alle reti alla ricerca di nuove modalita’ di regolazione che incoraggino gli investitori a metterci dei soldi”, spiegava.

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