Un Manifesto per i poli di innovazione

In Italia l’89% dei Poli ha tra i propri membri una università, a conferma della centralità di una relazione stabile fra conoscenza e industria. Anche per questa ragione l’insieme dei Poli costituisce un modello possibile di quel capitalismo di territorio dove contano le filiere e la capacità di renderle attive e innovative

Pubblicato il 25 Ott 2015

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«Il territorio italiano e la sua economia vanno guardati in filigrana per capire che vi sono spazi per la ripresa e che la crisi non può e non deve essere considerata come una condizione di normalità, con l’accettazione di un inevitabile riposizionamento verso il basso».

Così il Censis scriveva nel suo Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2014. Un modo per guardare l’Italia in filigrana è concentrarsi sulla realtà dei Poli di Innovazione, una modalità di aggregazione di imprese, dalle startup alle grandi, prevista da un decreto del 2008. Quanti sono e dove sono? Quante aziende riuniscono? In quali settori operano? A queste domande risponde la nuova edizione del Manifesto di EconomyUp, curato da Giuseppe Cappiello dell’Università di Bologna e realizzato in collaborazione con Ita-Ice, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Perché, scrive il presidente Riccardo Maria Monti, “nella competizione globale prosperano le imprese che riescono a perseguire allo stesso tempo le strade dell’internazionalizzazione e dell’innovazione”.

Nel suo formato originale (mappa da una parte e analisi dall’altra) il Manifesto propone la prima indagine quali-quantitativa su una realtà raramente vista come un insieme. I Poli di innovazione, da nord a sud, sono 53, riuniscono 7428 imprese e operano tutti in settori strategici, dall’aerospaziale alla smart manifacturing, dall’economia del mare all’energia e ambiente, dal cleantech alla mobilità e logistica.

Un dato emerge netto: l’89% dei Poli hanno tra i propri membri una università, a conferma della centralità di una relazione stabile fra conoscenza e industria. Anche per questa ragione l’insieme dei Poli costituisce un modello possibile di quel capitalismo di territorio dove contano le filiere e la capacità di renderle attive e innovative. “La vicenda dei Poli di Innovazione deve essere inquadrata come tentativo di valorizzare le risorse specifiche di una determinata area geografica mediante un network di imprese che decidono di condividere percorsi di ricerca e di innovazione”, scrive Giuseppe Cappiello.

Non ci sono solo i dati nel Manifesto. Intervengono anche Carlo Moedas, commissario Ue per la ricerca e l’innovazione; Jonathan Ortmans, consigliere della Kauffman Foundation; Luigi Nicolais, presidente del CNR; Stefano Paleari, presidente della Conferenza dei Rettori fino allo scorso 22 settembre; Sergio Galbiati, presidente di LFoundry.

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