Alibaba passa dall’Italia per entrare in Europa. L’apertura nel nostro paese anticiperà di poco quelle di Francia e Germania ma le premesse sono interessanti anche per capire cosa sta succedendo da noi. Il fatto che il colosso dell’ecommerce cinese, una sorta di anti-Amazon creata dal volitivo Jack Ma, volesse spuntarla nel Vecchio continente non era un segreto.
Nel taccuino del cronista è registrata per esempio l’apparizione di Ma a fianco del cancelliere tedesco Angela Merkel all’ultimo Cebit di Hannover. E la struttura stessa del colosso dell’ecommerce, una via di mezzo tra il modello Amazon e quello eBay con una federazione di negozi (a cui Alibaba fornisce la via per la rete e la logistica distributiva), è più che compatibile con la struttura economica di Germania e Francia e, soprattutto, del nostro paese. Se n’è resa conto anche Amazon, dopotutto: pochi anni dopo l’apertura in Italia ha “messo dentro” la sua piattaforma alcune fette di Made in Italy.
La stessa cosa farà Jack Ma. L’Italia dal canto suo da più di un decennio ha colpevolmente trascurato di coltivare le infrastrutture, l’alfabetizzazione e la progettazione dei piani stessi per portare l’esercito di Pmi, che poi sono i veri ambasciatori del Made in Italy, in rete. I risultati sono chiari: la banda nelle zone extraurbana (soprattutto quelle direzionali) è scarsa; le reti mobili sono spesso sature; i programmatori scarseggiano; il tasso di penetrazione delle nuove tecnologie è basso; la stessa PA è indietro nei processi di digitalizzazione; la diffusione dei sistemi di pagamento dell’economia reale nel nostro paese continua ad essere centrata sui mezzi tradizionali (il contante) più che non quelli digitali. In questo contesto, chi arriva e riesce a fare rete può imbarcare grandi fette del Made in Italy che non trova altri sbocchi e non ha la forza per fare da solo. Imbarcando assieme alle nostre aziende, però, anche una quota consistente degli utili.
Jack Ma e i suoi questo lo hanno molto chiaro: se negli ultimi anni l’Italia era stata vista come la più piccola dei grandi europei, adesso le cose stanno cambiando. Prima i prodotti o i servizi globali da noi arrivavano sempre dopo, nel secondo gruppo, quello che segue: è successo con Netflix e con i telefoni e i tablet modaioli di Apple. Adesso c’è interesse. Alibaba ha scelto una strategia e una visione geopolitica diversi da quelle che vengono insegnati nelle business school dell’east coast americana, ma altrettanto fondati. Michael Evans, presidente del colosso cinese dell’e-commerce vorrebbe anche investire direttamente in aziende del Made in Italy per accelerare ulteriormente la comparsa di marchi nostrani nel circuito delle vetrine digitali planetarie di Alibaba: food, abbigliamento, design, c’è solo da scegliere per soddisfare i desideri di 350 milioni di consumatori che vivono al di là della Grande Muraglia.
Questo già succede, altre aziende (cinesi ma anche tedesche, americane) hanno investito o comprato pezzetti del Made in Italy e Alibaba non sarà certo l’ultima. Il colosso dell’ecommerce cinese, che in Italia sarà guidata da Rodrigo Cipriani Foresio, fattura 394 miliardi di dollari l’anno, ha utili netti per 12,3 miliardi con una crescita del 45% anno su anno, e dà lavoro a circa 35mila persone. Soprattutto, è nato nel 1999 come servizio b2b per favorire gli scambi tra aziende cinesi e quelle straniere.
Una sorta di piattaforma per facilitare la globalizzazione della Cina neo-capitalista poco dopo l’annessione di Hong Kong e l’entrata nel 2001 nella WTO. Alibaba ha la complessità delle grandi aziende quotate in Borsa (vi è sbarcata nel 2014) e che differenziano le loro attività per renderle complementari e sinergiche: dal marketplace Taobao allo shopping di griffe Tmall, dall’outlet scontato Juhuasuan alle vendite mirate ai consumatori internazionali di AliExpress, fino all’ingrosso cinese 1688.com e al portale-madre, Alibaba. In realtà, al di là delle trasformazioni della Cina e l’evoluzione della sua crescente classe media, segna l’identità di Alibaba una idea che il fondatore porta con sé dalla nascita dell’azienda: «Siamo nati nel 1999, perciò riusciremo ad esistere per almeno 102 anni questo vorrà dire che la nostra azienda sarà stata attiva su tre secoli diversi. Pochissime aziende possono dire di aver raggiunto questo risultato». Un risultato al quale mancano ancora 86 anni, ma non è certo l’ambizione a fare difetto a Jack Ma ed ai suoi.