Si potrebbe pensare che l’innovazione digitale è un passaggio obbligato per le PMI Italiane impegnate nella globalizzazione. Il ritardo che esse mostrano sul terreno ICT, infatti, è un indicatore di arretratezza, che, prima o poi, non potrà che tradursi in debolezza sul mercato. Ma limitarsi a questa affermazione, in fondo ovvia, può indurre a pensare che la questione è che le imprese Italiane sono poco innovative e hanno bisogno delle imprese ICT, in particolare delle grandi multinazionali del settore e delle loro soluzioni più ‘innovative’, per colmare un ritardo. E, in verità, fino ad ora, è così che si è pensato all’innovazione digitale in Italia richiedendo investimenti pubblici a sostegno dell’acquisto di software e hardware da parte delle nostre PMI.
Ma, le vicende delle imprese Italiane in questi cinquant’anni ci dicono che la storia è un po’ diversa da come la racconta chi è stato ed è sempre pronto ad ammonirle per le loro dimensioni troppo piccole, per la loro riluttanza nell’adozione di ICT, per il loro essere troppo spesso impegnate in settori maturi dell’industria, ed anche per il loro non essere capace di trasformarsi in imprese di servizi lasciando la manifattura a paesi più arretrati. Se, infatti, questi saggi maestri avessero (avuto) ragione, da anni noi non avremmo più una industria manifatturiera. E invece l’abbiamo e capace di essere al secondo posto in Europa e tra le prime nel mondo, con tante piccole e medie imprese che lottano per la leadership in diversi segmenti del mercato ed alcuni grandi gruppi che crescono a due cifre da anni; con innumerevoli marchi riconosciuti per la qualità dei loro prodotti (e in ultima analisi per la loro capacità innovativa) ed alcuni che primeggiano nelle classifiche; con territori che hanno saputo trasformarsi dai distretti industriali degli anni del boom, senza perdere il loro genius loci. E allora? Non è vero che l’innovazione digitale è un passaggio obbligato per le PMI Italiane? No, non è questa la conclusione che dobbiamo trarre.
Piuttosto, dobbiamo capire che l’innovazione digitale di cui hanno bisogno le imprese Italiane è vera innovazione (non semplicemente l’adozione delle ‘soluzioni’ che le multinazionali dell’ICT offrono nelle forme di costose commodities), capace di dotarle delle infrastrutture e dei servizi di cui hanno bisogno per competere nella globalizzazione senza perdere la loro forma peculiare. Con Federico Butera in “L’Italia che compete” (Angeli, 2011), abbiamo suggerito che l’industria Italiana, lungi dall’essere arretrata, è invece portatrice, in nuce, di un nuovo modello di sviluppo socio-economico (l’Italian Way of Doing Industry) capace di dare una forma sostenibile alla globalizzazione, e quindi adottabile, in forme variate e aderenti alle loro caratteristiche sociali e culturali, dai diversi paesi che nella globalizzazione cercano sviluppo e benessere. E che l’innovazione digitale è un driver fondamentale perché l’Italian Way superi le debolezze che ancora ne oscurano il carattere paradigmatico. Ma allora essa non ci si può limitare a colmare un ritardo ma si deve, partendo dalla collaborazione tra imprese utenti e attori dell’innovazione digitale, sviluppare infrastrutture e servizi innovativi che aumentino l’efficacia delle nostre PMI in tutti i segmenti della catena del valore.