“Standard normativi leva per Industria 4.0. Sia l’Italia a portarli in Europa”

Intervista a Daniele Tumietto, membro della commissione Uninfo eBusiness, e Andrea Caccia, advisory board di Anorc: “Il nostro Paese sta trascurando il tema normazione tecnica. Rischiamo di trovarci norme sulla produttività imposte da altri Stati e senza alcuna aderenza al nostro tessuto produttivo”

Pubblicato il 25 Nov 2015

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Un’opportunità per le imprese, per l’industria 4.0 e per la crescita dell’intero sistema paese. Degli standard si parla poco sui tavoli governativi italiani, al contrario di quelli europei, ma anche da noi c’è chi è convinto che trascurando il tema si perda un’occasione importante. “Negli altri paesi, soprattutto Francia e Germania, quando si parla di digitalizzazione industriale e quindi industria 4.0 si espongono i primi ministri in persona perché si crede che il Digital single market sia una chiave di sviluppo per l’economia – spiega a CorCom Daniele Tumietto, membro della commissione Uninfo eBusiness e delegato Ungdcec (Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti) al Forum Italiano sulla Fattura elettronica presso l’Agenzia delle Entrate – Hollande e Merkel hanno deciso di lavorare in sintonia e in parallelo proprio sugli standard, ossia sulla normazione tecnica”.

È pur vero che le decisioni in ambito europeo necessitano di una maggioranza qualificata e quindi non è detto che riescano a imporre le richieste della loro industria, ma secondo Tumietto “noi dovremmo difendere le imprese come loro, ma non lo stiamo facendo”. Anzi, la Legge di stabilità ha tagliato i fondi destinati agli enti che si occupano di normazione tecnica (CEI, Uni e Uninfo): “Non è tanto una tagliola in quanto riduzione, come quella della spesa IT, ma rispetto all’impatto sui progetti dell’industria 4.0” e si corre il rischio che “le nostre imprese si ritrovino degli standard imposti da imprese di altri stati”, perché in Italia “manca la sensibilità della politica e dell’imprenditoria per adeguarsi ai nuovi ritmi ed evitare di subire regole europee che non tengano conto delle particolarità del tessuto produttivo italiano”.

La pensa allo stesso modo anche Andrea Caccia, advisory board di Anorc e presidente del comitato CEN/PC434 in EInvoicing, secondo il quale poiché “l’industria 4.0 si basa sull’interoperabilità e i processi vengono suddivisi tra aziende che potrebbero anche non essere nella stessa nazione” gli standard diventano fondamentali per “creare dei pilastri in questa nuova modalità di produrre: chi li controlla ha un vantaggio competitivo enorme”.

Per Caccia l’esempio lampante dell’importanza della normazione tecnica è Internet, che dimostra la strategia di unione dei pionieri dell’innovazione, ossia gli Stati Uniti. “Internet è un insieme di standard, implementati poi ovviamente dalle tecnologie, che sono nati in America dove le aziende competono ma si mettono allo stesso tavolo per discutere della normazione tecnica – spiega a CorCom – In Europa questo non lo si riesce a fare anche se la Commissione Europea sta capendo che il coinvolgimento delle imprese è fondamentale”.

Nonostante all’evento di Venaria il tema degli standard non sia stato minimamente toccato, in Italia seppur lentamente qualcosa si sta muovendo, ad esempio sul versante della fatturazione elettronica. “La presenza della PA e in particolare dell’Agid è molto forte. Assieme alle Regioni e alla Ragioneria dello Stato stanno affrontando i problemi facendo squadra in ambito italiano prima di sedersi ai tavoli europei”.

Potrebbe essere l’inizio di un cambio di rotta, sul quale deve però incidere positivamente l’azione attiva del governo. “Parliamo di un volano spaventoso e basta pensare alle filiere produttive: la riduzione dei costi e l’aumento dell’efficienza, che spesso dipendono dagli standard, sono possibilità a cui non possiamo rinunciare – spiegano Tumietto e Caccia, che portano continuamente come esempio l’Inghilterra.

Un recente studio Uk ha infatti stimato l’impatto delle regole di normazione basata su standard nella produttività a livello nazionale: nel 2013, essi hanno contribuito al 37,4% della crescita, ossia hanno generato un Pil extra di 8 miliardi e 200 milioni di sterline.

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