“Se immaginassimo un mondo in cui nelle autostrade le automobili fossero tutte smart car, avremmo la certezza di una guida decisamente più sicura”. L’ultima analisi di Panda Security sul futuro delle “auto intelligenti” parte da questo presupposto, spiegando che essendo in grado di comunicare tra loro le automobili saranno in grado di evitare scontri e percorrere strade alternative in caso di incidenti rilevati.
Senza contare che non passeranno mai con il semaforo rosso e che il vigile del futuro potrebbe fermare le auto da remoto e non più alzando il braccio.
Del resto, tra gli obiettivi dell’Internet of Things in questo ambito rientra sicuramente l’obiettivo di salvaguardare vite umane sulle strade e la National Highway Traffic Safety Administration degli Stati Uniti ha stimato che, solo negli Usa, la tecnologia potrà prevenire oltre mezzo milione di incidenti e oltre un milione di vittime ogni anno.
Tuttavia, la capacità di queste macchine di comunicare tra loro rappresenta un problema per gli esperti di sicurezza, in quanto le auto potrebbero diventare bersagli di cyber attacchi se qualcuno fosse in grado di intercettare le comunicazioni e riuscisse a localizzare le vetture.
Ci è già stato dimostrato dall’esperto di security Jonathan Petit, spiega Panda Security, che una semplice penna laser è in grado di confondere una smart car, facendole credere di avere un ostacolo sulla strada, quando in realtà nulla è presente.
Oggi invece Petit ha illustrato ulteriori indagini sottolineando che, a differenzia delle smart car, le quali elaborano l’ambiente utilizzando il sensore LIDAR (Light Detection and Ranging) posto sul tetto, le connected car non vedono ciò che è intorno a loro, ma lo rilevano. Le informazioni inviate da un auto a un’altra sono poi crittografate. Non vengono inviati dati legati alla targa, ma ogni messaggio possiede una firma digitale per evitare false comunicazioni o incomprensioni che potrebbero provocare incidenti.
Petit ha effettuato alcuni test presso la University of Twente nei Paesi Bassi, posizionando due stazioni di intercettazione passiva dei dati e che transitano in un network, che costano poche centinaia di dollari, in punti diversi del campus.
Dopo due settimane, l’auto ha trasmesso oltre due milioni e mezzo di messaggi e le stazioni di sniffing ne hanno rilevati circa quarantamila, solo il 3% del totale.
Ma con questi dati e con le firme digitali, Petit è stato in grado di identificare i veicoli, stimare dove fossero all’interno del campus con una precisione pari al 78% e risalire al luogo esatto con il 40% di successo. L’esperimento di Petit è servito a dimostrate come governi o cyber criminali potrebbero utilizzare questo sistema su larga scala per monitorare tutte le automobili di una città. “I ladri potrebbero attendere che le auto della polizia siano impegnate in una determinata zona, per commettere un furto”, spiega Petit. Lo scienziato informatico sta collaborando da tempo con Ford, General Motors e altre case automobilistiche per sviluppare strategie di protezione delle connected car. “In pochi anni saremo in grado di beneficiare dei vantaggi di queste auto, con la garanzia di una completa sicurezza”.