Big data, Morozov: “Meno regole e meno tutele, è un’economia pre-capitalistica”

Si stanno sgretolando i pilastri della socialdemocrazia che ha fornito stabilità al capitalismo. Ora la massiva circolazione delle informazioni lascia lavoratori e consumatori in balìa dei big della Silicon Valley. L’analisi del sociologo Evgeny Morozov

Pubblicato il 14 Dic 2015

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Il nuovo capitalismo “digitale” nato dai big data? Somiglia a quello di ieri. Parola di Evgeny Morozov, sociologo esperto di tecnologia e informazione, che in un articolo sul Guardian spiega perché, in realtà, le grandi aziende della Silicon Valley non stanno affatto creando un nuovo ordine economico, ma anzi stanno rafforzando quello attuale sfruttandone ambiguità e debolezze retoriche.

Morozov smonta le teorie di chi – il giornalista Paul Mason ha scritto addirittura un libro su come il digitale starebbe frantumando il capitalismo – ritiene che la digitalizzazione totale dell’esistente stia mettendo in difficoltà anche i nuovi sovrani dell’economia, che faranno fatica a spazzare via le nuove forme di dissenso organizzate dal basso e grazie a social network & co.

Nonostante sia innegabile che stiamo entrando in una nuova era è molto più probabile che quello che ci stiamo lasciando alle spalle non sia il capitalismo, bensì la socialdemocrazia nella sua forma di compromesso: i governi si impegnavano a non mettere in discussione il primato del mercato e le aziende accettavano una forma di controllo normativo.

“Per un po’ il sistema ha retto – spiega Morozov – ma perché si presupponeva che le economie avrebbero continuato a crescere all’infinito, fornendo agli stati risorse per un generoso welfare”. Oggi invece la disintermediazione provocata dalla circolazione massiva di grandi mole di dati ha rotto questo equilibrio.

E big della Silicon Valley, sfruttando proprio questa situazione, stanno ridisegando il volto del capitalismo. “Prendiamo ad esempio Uber. Che importa se alcune città pretendono che i tassisti seguano corsi di formazione ad hoc per gestire e accompagnare i passeggeri disabili? Per Uber tutti i passeggeri sono uguali, quindi non ha senso spendere di più per alcuni di loro. Fino a qualche tempo fa – evidenzia il sociologo – questa scelta ci sarebbe apparsa inaccettabile ma oggi qualcuno, invece, si chiede perché i soldi che lui spende per spostarsi debbano servire per sovvenzionare l’assistenza a un disabile”.

La pratiche di Uber ricordano quelle di “un capitalismo prima dell’avvento della socialdemocrazia”, intesa come metodo democratico non tanto come appartenenza politica.

“I suoi autisti sono costantemente controllati, per esempio perché mantengono alti i giudizi ricevuti o il tasso di affidabilità assegnato dai passeggeri, ancor più di quanto succedeva in una fabbrica taylorista, pur non essendo formalmente assunti”.

Criticità, dunque, Morozov le rileva anche sul fronte occupazione e diritti dei lavoratori.Sempre facendo l’esempio Uber: “Si può valutare favorevolmente la flessibilità offerta, ma questa tiene esclusivamente in funziona delle generale precarietà della popolazione attiva”.

In altre parole finché ci saranno così tanto disoccupati, Uber e altri aziende, che adottano lo stesso modello di business, possono stare sicuri che ci sarà sempre qualcuno in giro disposto a lavorare anche per poche ore. E con zero diritti.

E i dati stanno cambiando anche il volto dei sistemi sanitari, soprattutto in Europa dove il welfare dell’assistenza è stato finora molto forte. Finora, però.

In Europa pochi sistemi sanitari riescono adesso a sopravvivere alle sfide dell’invecchiamento, dell’obesità e dei tagli alla spesa pubblica. “Questo spiega – dice Morozov – l’entusiamo irrazionale per i wearable device che promettono di trasformare l’assistenza sanitaria in un sistema basato sulla prevenzione”.

Anche i questo caso sono i dati a disposizione di tutti a cambiare il volto della società. Ma a un prezzo troppo alto: “Sono finiti i tempi in cui era possibile non pensare troppo alla salute: le informazioni generate dalle applicazioni di e-health sono una fonte costante di ansia mentre la socialdemocrazia quell’ansia la arginava”. Assicurando servizi sanitari universali.

Un altro fronte caldo è quello della tutela del consumatore. Più la pubblicità e la raccolta dei big data crescono di importanza nell’economia digitale, più i prezzi sono decisi da algoritmi, altamente personalizzati e spesso concepiti per far pagare il più possibile i consumatori.

“Le tariffe di Uber e i biglietti aerei acquistati online ne sono un esempio lampante”, spiega Morozov. “Viene inficiata alla radice la filosofia alla base della socialdemocrazia ovvero l’idea che i governi possano imporre norme e regolamenti per controllare il mercato ed evitare distorsioni. La Silicon Valley è convinta che solo il mercato può controllare sé stesso. Tocca quindi agli stessi utenti decidere se una cosa funziona o no, tramite giudizi sul servizio. Il governo deve rimanere fuori”.

Big data, social e sharing economy aprono le porte al post-capitalismo? “Forse sì– conclude il sociologo – Ma dobbiamo ricordare che il capitalismo è diventato stabile proprio grazie al compromesso socialdemocratico che si sta sgretolando. Se è vero che il post-capitalismo digitale sta avanzando dall’indebolimento del welfare e delle regolamentazione del mercato, possiamo usare un termine più calzante: cioè con cui abbiamo a cha fare si chiama pre-capitalismo”.

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