Magrini: “Il nostro investimento record. Sedici milioni per una startup”

Il ceo di United Ventures: “Lo sviluppo globale e internazionale è l’unica possibilità di crescita e di ricerca del capitale. Il nostro compito è quello di accompagnare le aziende. In Italia in questo campo ora va meglio ma c’è ancora strada da fare”

Pubblicato il 16 Dic 2015

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Per il fintech italiano è un record: 16 milioni di euro. Se si pensa che in tutto il 2014 l’investimento in startup del settore finanziario è stato di circa 7 milioni di euro, si comprende l’importanza dell’investimento d’inizio novembre su MoneyFarm. Fondata nel 2011 da Paolo Galvani e Giovanni Daprà, la startup offre servizi di consulenza finanziaria in maniera innovativa. La nuova iniezione finanziaria serve per puntare alla leadership europea dei servizi di Digital Wealth Management e anche per questo è arrivata da un coinvestimento internazionale del fondo inglese Cabot Square Capital e e da quello italiano di venture capital United Ventures. Ne abbiamo parlato con Massimiliamo Magrini, founder e CEO di United Ventures, anche perché l’operazione è l’occasione per fare il punto sullo stato dei finanziamenti per le startup nell’anno in chiusura.

In Italia mancano i fondi per la crescita delle startup, si dice di solito. United Ventures ha partecipato a un’operazione da 16 milioni per Money Farm. Non è quindi vero?

Oggi per poter fare un B Round come quello fatto da Moneyfarm è necessario un lead investor internazionale. United Ventures è nata quando Paolo Gesess ed io abbiamo fatto il seed round in Moneyfarm e da allora ne abbiamo sempre sostenuto la crescita perché convinti che il settore dell’asset management necessitasse di un forte elemento di innovazione e al tempo del seed round il termine robot advisor non era ancora stato inventato.

Qual è il senso di un’operazione come quella Money Farm?

La nostra mission è quella di individuare i migliori talenti imprenditoriali nel settore Tech e sostenerli nella crescita globale, e per poterlo fare è necessaria una capitalizzazione sufficiente a sostenere le imprese in tutti i round necessari. Se una impresa dimostra capacità di crescita in settori ad alta innovazione e l’imprenditore ha la credibilità per poterla sostenere, diventano necessari diversi round di investimenti: maggiore è la crescita e le potenzialità e maggiore sarà l’entità del round.

Lo sviluppo globale- internazionale diventa quindi l’unica possibilità di crescita e di ricerca di capitale, il nostro ruolo è accompagnare le imprese in questa crescita.

Quante operazione ha compiuto nel 2015 United Ventures? Di che taglio medio?

United Ventures ha ad oggi 14 società in portafoglio, facciamo in media 5 operazione di investimento all’anno. L’obiettivo è investire in imprenditori e società fortemente innovative con l’ambizione di cambiare radicalmente i settori nei quali vanno ad operare. Il nostro focus è su A round ovvero i primi capitali istituzionali di un’impresa con un investimento che vada da 1 a 5 milioni. In alcuni casi abbiamo fatto anche round più piccoli in presenza di imprenditori particolarmente capaci con l’idea di accompagnarli al round A , ma si tratta comunque di una strategia marginale.

Un round più piccolo è quello fatto in ottobre: mezzo milione su Meritocracy. Con quale strategia?

Per Meritocracy abbiamo deciso di sostenere i founders nel passaggio dal seed al round A, ci ha colpito quello che erano riusciti a fare con un capitale contenuto.

Lei fa venture capital da diversi anni. Come vanno le cose?

Le cose vanno decisamente meglio, ci sono nuovi fondi con una strategia precisa e un livello sufficiente di capitalizzazione, va dato atto al Fondo Italiano di Investimento di aver svolto un ruolo strategico da anchor investor e questo ha prodotto effetti positivi. Ma la strada da fare per raggiungere le dimensioni degli altri paesi europei è lunga e la pressione dei paesi emergenti è fortissima.

Un bilancio del 2015 e un outlook per il 2016?

Il 2015 è stato un anno di svolta positiva in cui si è interrotto il trend decennale negativo del VC in Italia fatto di scarse ambizioni piccoli operatori e molto provincialismo. Nel 2016 bisogna proseguire sulla strada di capitalizzazione degli operatori, chiarire al più presto il ruolo che il Fondo Italiano vorrà svolgere nei prossimi anni e far sì che gli investitori istituzionali italiani comincino ad aprirsi a questa asset class che è assente nei portafogli dei grandi investitori mentre è presente nei portafogli dei grandi investitori istituzionali internazionali.

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