1. Con la sentenza n. 5708 del 2015, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso per ottemperanza promosso da Fastweb (ben diciotto motivi, più nove aggiunti) e il ricorso incidentale promosso da Telecom Italia. Entrambi i ricorsi erano stati promossi contro la delibera n. 86/15/CONS, con la quale l’Autorità ha dato esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato n. 1837/2013, n. 1645/2013 e n. 1856/2013 relative alle delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS concernenti i prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom Italia per gli anni 2010-2012.
Si tratta di una nota vicenda giurisdizionale, a conclusione della quale i Giudici sono pervenuti a un risultato duplice e strettamente connesso. Da un lato, con le tre sentenze del 2013 appena citate, hanno parzialmente annullato, per difetto di adeguata motivazione, la delibera n. 578/10/CONS (analisi del mercato dell’accesso alla rete fissa relativa agli anni 2010-2012). Dall’altro, con la pronuncia del 2014 (n. 5733), hanno annullato la delibera n. 71/09/CIR nella parte in cui non ha previsto, per il modello del retail minus, un adeguato calcolo dei costi.
La sentenza appena pubblicata, n. 5708 del 2015, riguarda l’ottemperanza della sentenza 1856/2013 in quanto il ricorrente principale, in entrambi i casi, è Fastweb. Wind e Vodafone, ricorrenti delle sentenze “gemelle” 1837/2013 e 1645/2013, non hanno agito in ottemperanza, ritenendosi soddisfatti dell’esecuzione in ottemperanza compiuta da Agcom con la delibera n. 86/15/CONS (pertanto, hanno dispiegato un intervento adesivo rispetto alle posizioni di Agcom).
In dettaglio, in base alle sentenze n. 1837, 1645 e 1856 del 2013, mancavano sufficienti motivazioni che evidenziassero le ragioni per le quali, adottando per i servizi WLR e WBA lo stesso metodo di orientamento al costo seguito per i servizi di unbundling (ULL), non sarebbe stato possibile mantenere egualmente – e anzi rafforzare – lo spazio economico tra i diversi prodotti di accesso. Non si capiva, in altri termini, come fosse possibile realizzare, con tale approccio, la necessaria differenza di prezzo che doveva indurre gli operatori alternativi a risalire la scala degli investimenti. Tradotto, a promuovere la maggior infrastrutturazione del mercato.
In base alla sentenza n. 5733 del 2014, emergevano vizi della delibera n. 71/09/CIR nella parte in cui non ha previsto, per il modello del retail minus, che la rivalutazione del prezzo dell’offerta del prezzo wholesale scaturisse (oltre che dalla considerazione dell’intervenuto aumento del canone mensile), anche da una rinnovata analisi dei costi non pertinenti al servizio all’ingrosso (da scorporare in una percentuale che, all’esito della verifica incentrata sui costi industriali e commerciali, non può ritenersi normativamente ancorata al 20%).
2. Il punto di partenza era in salita. L’annullamento parziale ha infatti imposto all’Autorità di svolgere un’analisi, ora per allora, con difficoltà operative non secondarie. Il Consiglio dell’Autorità si è mosso con cautela, innanzi tutto dal punto di vista procedurale, vale a dire seguendo una regolare e attenta consultazione pubblica.
Nel merito, come giustamente rilevato a Palazzo Spada, è stata confermata la scelta regolatoria già adottata nel 2010, incentrata sul mantenimento del sistema del retail minus, con il conseguente spazio economico, per i servizi WBA e WLR.
Centrale è il primo motivo di ricorso, con il quale Fastweb riteneva che Agcom avesse disatteso del tutto “le prescrizioni impartite dalla sentenza n. 1856/2013 e dalla sentenza n. 5733/2014”. E questo in quanto “nella delibera n. 86/15/CONS l’Autorità si limiterebbe ad affermare che i costi dell’operatore dominante (c.d. incumbent) sarebbero inferiori a quelli degli operatori alternativi, senza tuttavia considerare che tali costi devono essere espressi da numeri, sconfinando altrimenti l’esercizio della discrezionalità tecnica nel determinare il prezzo regolatorio del bitstream, da parte dell’Autorità, in puro arbitrio”.
In realtà, secondo il Collegio, l’Autorità ha giustamente ritenuto di dover tenere ben distinti i due livelli di ottemperanza. Con la delibera n. 86/15/CONS ha definito la metodologia di calcolo – lo spazio economico – da impiegare per la rideterminazione dei prezzi 2010-2012 e ha quindi rinviato l’ottemperanza della sentenza n. 5377 del 2014, relativa alla sola quantificazione dei prezzi bitstream e WLR, ad un separato procedimento che si è concluso con l’adozione della delibera n. 578/15/CONS, dello scorso 16 ottobre.
Si tratta, stando a quanto affermato dal Consiglio di Stato, di due distinti profili, che l’Autorità ha correttamente valutato tenendoli separati, sicché sul punto il Consiglio non ravvisa alcuna violazione dell’uno o dell’altro giudicato da parte di AGCOM.
3. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto poi diversi aspetti di fondatezza della delibera dell’Autorità. Vale la pena riportare le principali considerazioni del Collegio a sostegno della corretta ottemperanza.
a) Il criterio del retail minus deve considerarsi preferibile rispetto a quello dell’orientamento al costo. L’Autorità ha valutato l’effetto della sua scelta regolatoria sui prezzi all’ingrosso, stabiliti nel periodo considerato, sui prezzi al dettaglio (c.d. efficienza allocativa ottenuta) e ha osservato, in risposta ad una specifica richiesta della Commissione europea, che la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso, attraverso il mantenimento dello spazio economico, ha comportato un impatto positivo sul benessere del consumatore, misurato dalla riduzione media del 5% dei prezzi al dettaglio nel periodo 2010-2012.
b) Il Consiglio di Stato ha rilevato che, nella delibera n. 86/15/CONS, l’Autorità ha tenuto ben presenti le indicazioni del rapporto dell’ERG, in cui si evidenzia che «la metodologia del retail minus generalmente garantisce un sufficiente spazio economico, in quanto il prezzo all’ingrosso è calcolato a partire dal prezzo di un servizio che si trova più a valle». Pertanto, la decisione ben spiega che “l’applicazione del prezzo del servizio bitstream risultante dal modello avrebbe disincentivato gli altri operatori a continuare ad investire in ULL, in quanto tale prezzo sarebbe risultato inferiore al costo di fornitura interno del servizio bitstream che essi avrebbero sostenuto utilizzando l’ULL e investendo in proprie infrastrutture”. In sintesi, la decisione dell’Agcom è ben fondata. L’Autorità non ha eluso il comando giudiziale, poiché ha rivalutato motivatamente la propria scelta regolatoria, dimostrando la maggiore infrastrutturazione compiuta dagli operatori, puntualmente indicata nella delibera che ha ottemperato. In questo modo, si è dimostrata la fondatezza dell’applicazione dello “spazio economico”, come era stato definito nella originaria delibera n. 578/10/CONS. In altri termini, il metodo prescelto in sede di ottemperanza, per Palazzo Spada, “non appare viziato da alcun errore logico, ma appare limpido, lineare, coerente”.
c) Non sono predicabili nemmeno errori di calcolo. Le valutazioni del canone WLR e del bitstream naked 2009 hanno tenuto in debito conto le differenze di costi alla base dei due servizi: i valori che ne sono derivati sono perfettamente coerenti tra loro e non svincolati gli uni dagli altri. Lo spazio economico tra WLR e bitstream e, per quanto detto, tra WLR ed ULL è stato correttamente valutato e calcolato dall’Autorità.
d) Nella delibera n. 86/15/CONS, diversamente da quanto affermato da Fastweb (ossia che l’Autorità non avrebbe raggiunto l’obiettivo di favorire l’infrastrutturazione degli operatori alternativi nelle centrali di dimensione più piccola), l’Autorità dà atto che, nel periodo 2007-2012, il numero totale di centrali di minori dimensioni è cresciuto ad un tasso di poco superiore al 24% annuo, confermando che gli investimenti si sono concentrati soprattutto sulle centrali di minori dimensioni e dimostrando, dunque, che l’obiettivo perseguito dall’Autorità, almeno per tali centrali, era stato raggiunto nel triennio 2010-2012.
e) L’Autorità, nell’aver rimesso a un approfondimento istruttorio la determinazione del prezzo in esecuzione della sentenza n. 5733/2014, non ha errato, nel frattempo, rideterminandosi a stabilire, in esecuzione della sentenza n. 1856/2013, il criterio dello spazio economico, ferma restando la successiva determinazione, nel loro contenuto, dei prezzi del 2009.
f) La sentenza n. 5733/2014 non ha censurato l’utilizzo della metodologia del retail minus per la determinazione del canone naked e ha imposto il criterio dell’orientamento al costo come criterio di calcolo della sola percentuale del minus. In sostanza il Consiglio di Stato ci dice che quando annulla per carenza o illogicità della motivazione non esclude che la scelta di merito dell’Autorità sia corretta, ma chiede che la fondatezza della decisione sia dimostrata.
g) Per Fastweb, Agcom avrebbe applicato il prezzo dei contratti System solo al 22% delle linee totali, ignorando che, nel procedimento avviato dall’Antitrust per abuso di posizione dominante, Telecom ha affermato “di ricorrere a tali tipi di contratto, con interventi di bonifica impulsiva, nel 51% dei casi e, dunque, non solo sulle linee ULL affittate agli operatori alternativi”. Il motivo, per Palazzo Spada, è infondato. La scelta di ricorrere ad aziende esterne anziché alla manodopera interna è effettuata da Telecom Italia s.p.a. sulla base di proprie valutazioni aziendali e politiche commerciali, e gli interventi svolti dalle aziende esterne, in questi casi e al di fuori dei contratti System, sono regolati con contratti differenti, a condizioni tecniche ed economiche differenti, che comunque fuoriescono dall’oggetto dei soli contratti System qui da prendere in considerazione e, cioè, quelli relativi alle linee ULL affittate agli operatori alternativi.
h) Nella delibera n. 86/15/CONS l’Autorità, sulla base della logica “ora per allora”, ha correttamente utilizzato i contratti System relativi al periodo 2009-2010, gli unici noti all’epoca dell’approvazione del provvedimento 578/10/CONS e sulla base di questi dati ha calcolato il valore medio del costo di bonifica impulsiva su tutte le linee considerate nei contratti.
i) L’Autorità, contrariamente a quanto sostenuto da Fastweb, ha dimostrato di non poter porre a base della propria decisione dati successivamente acquisiti e non disponibili all’epoca in cui fu adottata la delibera parzialmente impugnata perché non pertinenti rispetto al periodo regolatorio preso in considerazione. In tale periodo valevano circostanze di mercato ed elementi fattuali diversi da quelli presi in considerazione, ratione temporis, dalla successiva delibera n. 747/13/CONS.
j) La delibera n. 86/15/CONS non elide l’esigenza dell’efficientamento né elude il giudicato, poiché essa, nel sottolineare la maggiore attinenza e confrontabilità della stima con i costi reali sostenuti da Telecom Italia s.p.a., costituisce un affinamento e un approfondimento del modello di costo adottato dalla delibera n. 578/10/CONS, tale da garantire, in aderenza al precetto giudiziale, una miglior efficienza del modello nel suo complesso.
4. Ne consegue, in definitiva, che le delibere sono pienamente rispondenti al dictum giurisdizionale. È interessante notare che, per la Terza Sezione, non sussistano nemmeno i presupposti, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a., per rimettere la causa al T.A.R. Lazio (sulla scorta dell’Ad.Plen. 15 gennaio 2013, n. 2), poiché non sono stati dedotti in giudizio “vizi propri” della delibera, ma profili tutti attinenti alla elusione del giudicato (che, nelle parole del Collegio, “non allegano con sufficiente chiarezza e, comunque, autosufficienza quale sarebbe lo sviamento dalla causa tipica, al di là dell’affermata divergenza della delibera dagli effetti conformativi del giudicato”).
In conclusione, la delibera n. 86/15/CONS, quindi, è immune da tutte le censure sollevate in questa sede sia in via principale, anche con motivi integrativi, che in via incidentale.
5. Le sentenze n. 1837/2013, n. 1645/2013 e n. 1856/2013 hanno contribuito in modo decisivo al cambio di paradigma nella regolazione delle comunicazioni elettroniche in Italia dal 2013 in poi, coincisa con l’insediamento del nuovo Consiglio di Agcom e con l’adozione delle delibere 746 e 747 del 2013. Con tali delibere, infatti, l’Autorità ha segnato un punto di svolta rispetto al passato, con scelte regolamentari (apertura dei cabinet) e tecnologiche (vectoring multi operatore) basate sul principio (ripreso nell’analisi del mercato dell’accesso 2014-2017 in corso di pubblicazione) secondo cui la transizione verso le reti in fibra deve avvenire promuovendo la concorrenza tra operatori, e non finanziando l’incumbent attraverso alte tariffe all’ingrosso.
Come già si è avuto modo di sostenere commentando le sentenze del Tar Lazio (n. 2769, 2772, 2775 e 3916 del 2015), sulle citate delibere n. 746 e 747, si tratta di argomenti che superano la dimensione specifica della vicenda, e dei singoli rapporti tra gli operatori e tra gli operatori e l’Autorità, ma assumono un connotato più generale, toccando problematiche di policy-making: nello specifico, si va a discutere della filosofia di fondo delle scelte economiche, del ruolo delle istituzioni settoriali e della scrittura di una pagina nuova, del diritto pubblico dell’economia di settore. È in gioco, in altri termini, l’approccio complessivo della regolazione, e la stessa natura del potere indipendente chiamato a svolgerne la funzione. Un potere che, in quel caso, è stato in grado di fronteggiare, vittoriosamente, anche la Commissione europea, i cui argomenti non erano, alla luce dei fatti, convincenti (tanto che ha cambiato strada).
A questo riguardo, mi preme rammentare che ho sempre sostenuto che le autorità indipendenti debbano essere rafforzate, nella loro dimensione organizzativa e funzionale, rendendole non solo ancor più separate dagli interessi in gioco (politici, economici, burocratici), ma anche dotate di strumenti ancora più incisivi, che consentano di raggiungere obiettivi di una politica settoriale convincente. Non antitetica a quella governativa, ma più analitica, autonoma e incisiva. In altri settori è evidente come la carenza di poteri di controllo (lo vediamo nella cronaca di questi giorni) abbia causato problemi enormi: che non solo danneggiano il sistema ma – cosa gravissima – le vite dei singoli. Che non hanno avuto alcuna responsabilità. È invece proprio su poteri forti ma responsabili che deve fondarsi un nuovo patto tra istituzioni e mercato.
Il caso che oggi abbiamo sotto gli occhi è un esempio evidente di quella che può essere una regolazione differente: innovativa, a volte di rottura, ma mai nell’interesse di parte. Al contrario: scelte innovative, che introducano metodi più efficienti e che siano finalizzati a promuovere una reale concorrenza infrastrutturale, vanno a vantaggio non solo del mercato, ma anche dei cittadini. Un beneficio immenso, almeno per chi ancora ritenga che la concorrenza non è un fine in sé, ma un mezzo per altri e più ampi obiettivi. Infine, simili scelte, possibili, voglio ricordarlo, solo se le autorità indipendenti interessate sono messe in condizione di compierle, divengono strumentali al rafforzamento dell’intero Paese, e non solo in modo enfatico, visto che il tema dell’Agenda Digitale è un tema molto concreto e sul quale si gioca la credibilità dell’Italia non solo in Europa, ma nel mondo intero.
Per completare il quadro, e a testimonianza di come tutti gli aspetti toccati sono intrinsecamente connessi, è bene ricordare che le sentenze sono al vaglio del Consiglio di Stato, che dunque dovrà tornare sulla vicenda da una diversa prospettiva. Vedremo se potremo confermare anche questa fondamentale parte della regolazione degli ultimi anni.
In conclusione, la sentenza n. 5708 del 2015 chiude, finalmente, una intricata vicenda. La conferma dell’ottemperanza e della sua rispondenza al giudicato precedente produce l’effetto benefico di consolidare il quadro regolamentare, a beneficio dell’intero mercato.
E ora possibile chiudere definitivamente, almeno in parte, la porta della regolazione passata e guardare alle sfide future che attendono il settore.