Quando una storia finisce, che fare? Salutarsi, ma andare oltre, senza rimpianti. Forse non a tutti riesce, perlomeno nella vita, ma per l’informatica dovrebbe essere più semplice. Oppure no?
È difficile dare l’addio a Internet Explorer, il tanto vituperato browser di Microsoft che ha segnato la nascita di Internet e il tentativo di flettere i muscoli ed esercitare la capacità di distorcere al concorrenza caratteristica (e pericolosa) per un monopolista. Bill Gates con Explorer voleva governare il mondo della rete, cioè il futuro, ma non c’è riuscito. E le cifre bulgare della diffusione di quello strumento che ha mandato in soffitta Mosaic e poi Netscape Navigator (qualcuno li ricorda ancora? Eppure sono stati i primi, veri browser che hanno inventato il web) oggi non ci sono più. Oggi pesa per circa un quinto del mercato, un bello scivolone rispetto al 90 e passa del periodo d’oro 2002–2005.
Microsoft ha perso il primato dietro a Firefox e soprattutto Chrome di Google (ma un po’ anche a Safari di Apple soprattutto nel mobile) e si reinventa con un nuovo sfogliatore web di nome Edge (già chiamato “Spartan” in fase di sviluppo) che nelle intenzioni dovrebbe essere il punto di forza di Windows 10, anche se il mercato PC fotografato nei dati di Gartner e IDC sembra un bollettino di guerra con un –10% nell’ultimo trimestre e fa temere che la nuova strategia di Satya Nadella possa trovare il suo primo, vero inciampo.
Comunque, non è di futuro che si parla, ma di quell’eterno passato in cui è congelata mezza rete, cioè Internet Explorer. Una tecnologia per la navigazione che sembrava eterna e che oggi ci regala un ultimo, lungo addio: iniziato l’end of support ieri, solo la versione Internet Explorer 11 per Windows 7, Windows 8.1 e Windows 10 continuerà a ricevere il supporto tecnico e soprattutto gli aggiornamenti di sicurezza. Le altre versioni vengono lasciate a se stesse da Microsoft, e non senza ragione: è tempo per chi vive nel passato di andare verso il presente. Senza dimenticare che nei computer più vecchi sui quali non “gira” l’ultima versione di Internet Explorer o per questioni di potenza o di compatibilità del sistema operativo (ad esempio, Windows XP), è sempre possibile fare ricorso a browser di terze parti come Firefox e Chrome ma soprattutto come quelli “indipendenti” e molto leggeri nella richiesta di funzionalità.
L’addio di Explorer sarà lungo e travagliato, perché la durata del ciclo di vita complessivo di questo prodotto, nato nel 1995 sulle ceneri di un primo tentativo fatto l’anno prima utilizzando codice preso da Spyglass Mosaic (un browser parente ma non direttamente emanazione del Mosaic di NCSA) è davvero lunghissima. Microsoft, che ha fatto della retrocompatibilità la sua arma vincente (ad esempio con Linux, quando il sistema operativo open minacciava di entrare nel settore desktop, o con la stessa Apple), è in realtà molto in difficoltà poi a dare l’addio per via della enorme base installata soprattutto nei settori delle grandi aziende, delle pubbliche amministrazioni, dei paesi non tecnologicamente avanzati.
Risultato? La coperta troppo corta che lascia scoperti i piedi oppure la testa: se Microsoft chiede ai suoi utenti, come ha fatto nei mesi scorsi, di darsi da fare e di passare a versioni più recenti, viene criticata perché toglie compatibilità e costringe molti a migrare verso nuove soluzioni. D’altro canto, se porta avanti la compatibilità ancora, viene accusata di non curare la tecnologia, di cattivi funzionamenti (perché rendere “stabile” un sistema che sia anche capace di far girare software pensati dieci, venti o trent’anni fa è complicato), di insicurezza, di una peculiare idea di cosa voglia dire essere compatibili (perché Explorer interpretava in modo molto proprietario gli standard aperti del web, con problemi di ottimizzazione dei siti a seconda del browser usato: stava qui il nocciolo dell’accusa di abuso della posizione dominate).
E in realtà, al di là della grande diffusione e delle accuse di abuso della posizione di monopolio, il vero grande problema di Internet Explorer è soprattutto nel nome. Perché il passaggio che Nadella porta avanti è in realtà un cambiamento tecnologico come già ce ne sono stati nella storia più che ventennale del browser di Microsoft ma anche un riposizionamento di marketing. Internet Explorer è associato a parole come lentezza, insicurezza, pericolo. Anche quando non era colpa del modello di sicurezza debole portato avanti in passato. Semplicemente perché tutti o quasi hanno usato questo software per navigare in rete per decenni e quindi hanno scoperto le prime spine della rosa odorosa del web proprio con Internet Explorer. In molti hanno scoperto che, oltre ai virus, c’erano anche altri tipi di possibile pericoli e attacchi che venivano dalla rete. E l’hanno scoperto con Internet Explorer, che ha pagato pegno facendosi la fama di essere “insicuro” e “instabile”. Non immeritata ma neanche così definitiva come molti critici sostengono.
Adesso è invece arrivato il momento dell’addio. I guru della rete consigliano di passare ad altro, di fare come si fa nella vita dopo un addio: ricordare il buono che c’è stato e andare oltre. Perché, come dicono i consulenti neo-tribali e gli astrologi del senso comune declinato al digitale, la rabbia è come un tizzone ardente: brucia chi la porta con sé, non il suo destinatario. Quindi lasciamo andare Internet Explorer: parafrasando Douglas Adams, addio e grazie per tutto il pesce, a prescindere da quanto fosse realmente fresco.
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