In un romanzo di vent’anni fa, “Punto Critico”, lo scrittore di techno-thriller Michael Crichton affronta il tema della guerra commerciale e industriale tra gli Usa e l’Europa. Non era la prima volta che Crichton raccontava di guerre commerciali tra paesi: quattro anni prima, con “Sol Levante”, il tema di fondo era lo scontro di civiltà economiche tra Stati Uniti e Giappone inteso come capofila delle Tigri asiatiche, dietro le quali si stagliava la Cina. Con “Punto Critico” però il mirino dell’autore scomparso nel 2008 è puntato verso l’Europa, le pratiche degli aiuti di stato (a dir poco blasfeme per il sistema americano), i cartelli multinazionali costruiti in chiave anti-americana, l’utilizzo strumentale della stampa per orientare l’opinione pubblica, mentre sullo sfondo dell’attacco all’America c’è l’esternalizzazione dei processi produttivi verso l’Asia e la terziarizzazione dell’economia.
Come nei viaggi di Gulliver, però, una prospettiva da gigante può diventare quella di un nano semplicemente cambiando isola, oppure decennio. E, come dimostrano anche i documenti rivelati da Edward Snowden, in realtà lo spionaggio industriale di stati nazionali (segnatamente Usa e Gran Bretagna) per favorire le proprie grandi imprese nell’arena del mercato globale è pratica diffusa da tempo.
E ben conosciuta: mentre attraverso la rete di accordi per il commercio e sistemi quadro normativi (tra cui il Partenariato transatlantico su commercio e investimenti -TTIP-, di cui si discute dal 2013) si cerca di regolare il commercio, invece sul terreno della competizione senza regole ci sono gli 007 soprattutto americani da una parte e tedeschi e francesi dall’altra che si scontrano. Il premio in palio sono le grandi commesse in Cina o in Medio Oriente, le tecnologie per la gestione dei dati oppure gli algoritmi per il funzionamento dei sistemi di trading finanziario.
Il dato è solo l’ultimo arrivato. I conflitti su prodotti (e relativi dazi di importazione per preservarli) esistono da secoli: oggi la Francia combatte gli Usa per i formaggi e l’Italia per il vino, mentre le banane sono insanguinate da decenni di scontri per interposta persona in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico (nonostante le due convenzioni di Lomé e la Wto). Altro terreno di scontro sono i paesi emergenti (Bric), la Cina e interi settori merceologici. Nell’industria automobilistica non pochi hanno visto nella scoperta operata da un laboratorio indipendente dei trucchi software al software della centralina delle auto Vokswagen la mano di “consulenti esterni”. E proprio la Germania è da tempo la più protettiva rispetto alla tecnologia software americana.
In parte i tedeschi vogliono difendere anche il loro comparto software, che ha un certo peso nel mondo: aziende come Sap e Software AG sono in competizione con gli omologhi americani in tutti i mercati del globo. Ma soprattutto i tedeschi vogliono proteggere la privacy delle loro imprese: un enorme comparto industriale e manifatturiero composto da colossi e piccole aziende molto dinamiche. Spesso legate da contratti e accordi con gli partner e clienti statunitensi che però hanno l’abitudine di ricorrere al giudice per chiudere i contratti. La legislazione statunitense permette la procedura del discovery preliminare dei documenti della controparte che spesso si tramutano in vere e proprie “partite di pesca” (“fishing expedition”, come le chiamano gli avvocati statunitensi) dato che dalle carte o dai file richiesti con il “sub poena” (gli americani lo scrivono “subpena” ed è la costrizione di un soggetto a testimoniare o produrre elementi di prova) può venire fuori di tutto. E, se i server nei quali si trovano i dati dell’azienda europea si trovano in territorio americano (come spesso accade con i servizi di cloud pubblico), il provider deve fornire direttamente le informazioni alla controparte. A grandi linee è questo, più che non lo spionaggio, uno dei motivi originari per cui le aziende tedesche hanno sempre spinto molto sulla privacy e la localizzazione europea dei dati messi nel cloud. Un caso in cui la tecnologia è stata adattata ai bisogno giuridici. Poi, la reazione al caso Snowden ha spostato l’attenzione su un piano diverso: nel 2013 Berlino ha cancellato gli accordi bilaterali sull’intelligence firmati nel ’68, nel luglio del 2014 ha poi fatto arrestare due 007 tedeschi perché agivano per conto della Cia e intanto ha obbligato il responsabile dell’Agency dell’ambasciata Usa di Berlino a lasciare la Germania. Nonostante la cancelliera tedesca Angela Merkel abbia sempre ribadito che per la Germania gli Usa sono l’alleato più importante, quello che era un mal di pancia economico si è trasformato in uno scontro diretto e più visibile.
Tanto che, nonostante la richiesta da parte della Germania di entrare a far parte del “gruppo dei cinque” che non si spiano e anzi lavorano in sinergia (Stati Uniti, GB, Canada, Australia e Nuova Zelanda), Berlino ha cercato di mostrare i muscoli lasciando trapelare informazioni circa non meglio precisate intercettazioni da parte degli 007 tedeschi ai danni di Hillary Clinton e John Kerry.
Niente che abbia tolto il sonno a Obama, ma un segnale ai capitani d’industria tedeschi: la “loro” cancelliera ha a cuore anche gli interessi delle imprese tedesca.
Uno sviluppo della trama che forse sarebbe piaciuto a Michael Crichton.