Avevamo incontrato Maurizio Ragusa, Cloud director di IBM Italia, all’indomani dell’inaugurazione del data center di Cornaredo (MI), costato a Big Blue 50 milioni di euro e pietra miliare per la diffusione della piattaforma Softlayer nella Penisola. Da allora sono passati non più di sei mesi, ma per il manager si tratta di “un’altra era geologica”. E in effetti da quel 16 giugno sono successe talmente tante cose che perfino il ruolo di Ragusa sembra cambiato. Le parole d’ordine per IBM erano infatti hybrid cloud, cloud shift, ERP e high performance computing. Oggi, cavalcando la logica dev-ops (Development + Operations) e potendo fare affidamento sulla cultura digitale che nel frattempo si è fatta strada nel top management, il lavoro consiste non tanto (e non solo) nel fornire infrastrutture e soluzioni informatiche, quanto nel proporre nuove declinazioni del business e casi d’uso che Oltreoceano hanno già trasformato i dati, strutturati e non, in valore per imprese e clienti.
Cosa ha provocato questa svolta?
L’offerta Cloud, fino a pochissimo tempo fa, erano fondamentalmente legata all’IT optimization. Pur proponendo un approccio digital al business, non sfruttava cognitive computing e dev-ops. L’intelligenza artificiale di Watson – che ora è a disposizione anche dei nostri clienti italiani con la possibilità nei prossimi sei mesi di rivolgersi al sistema a voce e in linguaggio naturale – ha aperto invece uno spettro realmente end-to-end che elimina i compartimenti stagni all’interno dei processi aziendali. Mentre la piattaforma Bluemix mette a disposizione degli sviluppatori tutti ciò che serve per industrializzare in maniera scalabile e sicura i nuovi strumenti di business. Dunque oggi succede che il CEO chiede nuove capabilities senza aver più bisogno di sapere cosa implicano in termini di architetture e hardware. Elementi che, quando non sono dati per scontati, rimangono retaggio di alcuni responsabili IT, i quali talvolta vorrebbero continuare a fare un mestiere che – diciamolo – non ha più ragione di esistere.
Al momento da dove arrivano gli input più interessanti, dai vendor o dalle aziende?
C’è in generale una vitalità mai registrata prima. Le confesso che in passato tenevo uno Zibaldone con le scuse che mi rifilavano i clienti per dirmi che non avevano bisogno dei servizi Cloud. Ora viene percepito come un mondo che fornisce un’articolazione diversa del fare impresa e di innovare nella business transformation. Parlo delle aziende soprattutto di prima fascia, ma anche le più piccole sono estremamente attive.
Quali sono gli ambiti di applicazione?
A febbraio 2011 Watson aveva vinto il quiz televisivo Jeopardy, ma nessuno immaginava che da lì a poco tempo sarebbe stato connesso a 15 ospedali di New York, che ne sfruttano le conoscenze per migliorare la qualità del servizio ai pazienti. La cosa incredibile è che la comunità medica lo considera come un proprio membro. Non è infrequente, quando ci si trova di fronte a un referto complesso, sentire qualcuno che chiede ai colleghi “E Watson che ha detto?”. Qualche settimana fa, a Stoccolma, è stato completato un nuovo studio sulla leucemia, depositato in Rete alle due di notte: già l’indomani mattina Watson suggeriva i risultati della ricerca ai medici che ovviamente ancora la ignoravano, analizzando immagini anche complesse come radiografie e TAC.
I dati non strutturati. Essenziali non solo in medicina…
Certo. Anche in chiave IOT, per essere davvero disruptive, le aziende dovranno lavorare su informazioni che sono costituite all’80% da elementi destrutturati: ingaggiare clienti, aumentare l’efficienza dei processi fino a oggi condotti in maniera deterministica, senza contare le attività di scoperta delle nuove opportunità di business, tutto dipende dalla capacità di analizzare e pantografare il mercato a partire dal Web. Tra i nostri clienti ci sono banche che stanno impostando il risk management sulla reputation on line e sulla presenza social dei sottoscrittori: a parità di condizioni statiche, come il reddito e l’anagrafica, i nuovi data set riescono a connotare molto meglio l’affidabilità di un individuo. Ma stiamo ottenendo risultati eccezionali anche con le assicurazioni, che tra l’altro ora possono attingere al patrimonio di informazioni generate dalla recente acquisizione di IBM.
The Weather Company?
Con circa 3 miliardi di rilevatori, 40 milioni di smartphone e 50 mila voli di linea sparsi per il globo, siamo in grado di effettuare previsioni meteorologiche ogni 15 minuti e di inviare 100 mila notifiche al secondo nei confronti di persone che si trovano in specifiche aree geografiche interessate da fenomeni atmosferici potenzialmente dannosi.
Le compagnie assicurative che adottano questi sistemi possono ridurre del 52% il numero di richieste danni, aumentando al tempo stesso la customer satisfaction del 20% e ottenendo di conseguenza grossi vantaggi in termini di loyalty.
Sul fronte dei contact center, invece, coinvolgere Watson nella gestione dei clienti significa trasformare gran parte delle chiamate in operazioni FCR (First Call Resolution, ndr), grazie alle quali i costi diminuiscono di dieci volte mentre l’efficacia aumenta del 30%.
Non solo: Watson notifica all’operatore anche elementi di psicosemantica, valutando in tempo reale il modo in cui il cliente si esprime per tracciarne l’attitudine e, attraverso l’accesso ai social network, se si tratta di un sostenitore del brand o se invece ne è un detrattore, suggerendo così linee d’azione sul piano della retention o del rewarding.