Pagare meno tasse stabilendo la sede nei Paesi dove il regime fiscale è più favorevole (pur facendo profitti in Europa), diventerà per le multinazionali sempre più difficile. Da una parte perché le autorità fiscali dei singoli stati stanno prendendo contromisure, “interpretando” in modo più moderno norme pensate quando Internet ancora non esisteva, dall’altra perché la Commissione europea ha iniziato a prendere in mano la situazione e ha messo a punto un pacchetto di norme specifiche contro l’elusione delle multinazionali.
A fare da apripista per questo “nuovo corso” è stata l’Italia, che a fine 2015 ha ottenuto da Apple il pagamento di 318 milioni di euro, mentre ieri la guardia di finanza ha quantificato in 227 milioni di euro l’evasione di cui è accusata Google per il periodo dal 2009 al 2013. E altre indagini sono in corso su Amazon e Western Digital.
Procedimenti simili sono in corso anche in altri Paesi dell’Unione europea, come la Francia. Nel Regno Unito il Governo è incappato in una bufera mediatica per aver raggiunto un accordo con Google per il pagamento di 130 milioni di sterline, che l’opposizione e la stampa locale hanno bollato come “un regalo” a BigG e “una presa in giro”. Tanto che la questione è arrivata a sollevare l’interesse del commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager che starebbe considerando la possibilità di prendere in esame i termini dell’accordo per valutare se sia tutto in regola.
Quanto alla Commissione europea, le nuove misure, che però dovranno ricevere l’ok unanime dal consiglio Ue, quindi anche degli Stati che applicano i regimi fiscali più favorevoli alle multinazionali, sono state annunciate dal commissario agli Affari economici e alla Fiscalità, Pierre Moscovici (nella foto).
L’obiettivo è di allineare il più possibile la normativa dei 28 Paesi per mettere fine alla pianificazione fiscale “aggressiva” che le multinazionali mettono in opera sfruttando gli spazi di manovra tra sistemi diversi.
“Ogni anno tra 50 e 70 miliardi di euro di gettito fiscale vanno persi a causa dell’elusione fiscale – spiega Moscovici – si tratta di risorse che potrebbero essere utilizzate per servizi pubblici come scuole e ospedali o per potenziare l’occupazione e la crescita. Le aziende oneste, come risultato, finiscono col pagare più tasse. Si tratta di una situazione inaccettabile e la nostra iniziativa è intesa a porvi rimedio. Oggi compiamo un importante passo avanti verso la creazione di condizioni di parità per tutte le nostre imprese, per una tassazione equa ed efficace per tutti gli europei”.
Le proposte, ha spiegato il commissario Ue, nasce da una semplice idea di giustizia: le aziende devono pagare laddove realizzano i profitti, senza l’utilizzo del “profit shifting”, uno dei più comuni metodi usati dalle aziende per eludere il fisco.
Tra le nuove norme proposte da Moscovici c’è ad esempio l’obbligo per le autorità fiscali nazionali di scambio di informazioni “sensibili” sull’attività e la posizione fiscale delle imprese operanti su suolo nazionale, mentre la Commissione europea valuta anche la possibilità di rendere pubbliche queste informazioni.
Nel pacchetto ci sono una serie di misure vincolanti, come un limite alla deducibilità degli interessi, e una raccomandazione agli Stati su come prevenire gli abusi dei loro trattati fiscali, una proposta che chiede ai Paesi membri di condividere le informazioni relative alle tasse delle aziende, e un nuovo procedimento per individuare i Paesi terzi che rifiutano la concorrenza equa in materia di tassazione. Questo per scongiurare anche il problema extra Ue delle multinazionali che “parcheggiano” i profitti realizzati in Europa in filiali fuori dal territorio dei 28, dove non vengono tassati.
“Una volta che le nostre proposte saranno adottate da Parlamento europeo e Consiglio Ue, le amministrazioni scambieranno automaticamente le informazioni”. Quanto allo “scoglio” del voto unanime, Moscovici si è detto “fiducioso”: “La mia grande fiducia per un accordo rapido sull’architettura fiscale – ha detto – è dovuta al fatto che il provvedimento è atteso dagli attori economici e voluto dall’opinione pubblica”