Uno dei tanti paradossi della rivoluzione digitale è che in molti casi a cambiare, ancor prima delle tecnologie e dei processi, sono le persone. Ed è acquisendo questa consapevolezza che Accenture ha delineato, nell’edizione 2016 del suo report annuale Technology Vision, i cinque trend che caratterizzeranno lo sviluppo delle imprese nel prossimo triennio. People First è in effetti il motto con cui il gruppo specializzato in soluzioni e servizi per il business ha presentato la ricerca che, scandagliando le opinioni di 3.100 IT executive in tutto il mondo, ha squadernato le esigenze di trasformazione dei principali settori dell’economia globale. “People first è una definizione coraggiosa, quasi una provocazione per un’azienda come Accenture”, spiega Alessandro Marin, Technology Senior Managing Director per Italia, Europa Centrale e Grecia. “Afferma la rilevanza del fattore umano rispetto al cambiamento tecnologico. La tecnologia non scavalca l’uomo, ma abilita la trasformazione come è già successo nelle precedenti rivoluzioni industriali. È indubbio però che si stia verificando uno shock culturale”. Marin fa riferimento soprattutto ai processi che grazie all’intelligenza artificiale vengono gradualmente automatizzati e alle attività di routine che perdono di importanza o addirittura scompaiono negli uffici e nelle catene logistiche. “Ma parlo anche delle nuove opportunità di lavoro: la capacità di adattarsi al mutare delle situazioni è fondamentale. Durante i colloqui con i candidati non diamo più la precedenza a skill ed expertise specifiche, ma all’attitudine al cambiamento. Oggi a chi risponde alle domande prediligiamo persone che ne pongono”.
Naturalmente la formazione universitaria fa ancora la differenza: nel 2015 Accenture ha assunto 2400 collaboratori, i quali, nel 70% dei casi circa, avevano profili tecnici. “In Italia i laureati in materie scientifiche sono 5 mila, mentre la domanda attualmente è di 20 mila risorse. Nel 2020 ci saranno circa 176 mila posti vacanti nell’ambito IT”, precisa Marin. “Il potenziale di crescita del settore è enorme, ed è confermato anche dalle nostre stime”. Secondo i dati Accenture, se a livello mondiale oggi l’economia digitale vale il 22% del PIL, nella Penisola raggiunge la soglia del 18%. Siamo lontani dalle medie di UK e USA, dove si toccano valori del 30%, ma rispetto ai Paesi più sviluppati, l’Italia gode di maggiori possibilità di espansione: aumentando gli investimenti in infrastrutture e tecnologie si potrebbe aumentare il PIL del 4% entro il 2020, contro tassi incrementali rispettivamente del 2 e del 2,5% per Stati Uniti e Gran Bretagna.
Recuperare parte del gap significa muoversi lungo precise direttive, ed è qui che il Technology vision 2016 dispensa le indicazioni più preziose. Il primo trend è quello della Intelligent automation. “Le aziende leader stanno utilizzando sempre di più l’automazione – alimentata da intelligenza artificiale (AI), robotica e realtà aumentata – per modificare radicalmente la propria organizzazione e ottenere un rapporto nuovo e più costruttivo fra persone e macchine”, spiega Gianluca Secondi, Advanced Technology & Architecture Platform Lead di Accenture per Italia, Europa Centrale e Grecia. “Sono già in corso significativi investimenti in quest’ambito: il 70% degli intervistati riconosce un aumento degli investimenti tecnologici rispetto a due anni fa e il 55% dichiara di avere in programma un utilizzo esteso di machine learning e soluzioni AI integrate. In Italia stiamo i segmenti più vitali sotto questo profilo sono quello industriale e quello finanziario”.
La Liquid workforce ha a che fare con la creazione di ambienti flessibili in grado di tenere il passo con il cambiamento, “che non è più una tantum, ma è determinato dalla possibilità stessa di adattarsi continuamente”, spiega Secondi. “I millennials sono abituati a lavorare più sul piano virtuale che su quello fisico, essendo nati in un contesto in cui la flessibilità è l’elemento costituente. Essere agili significa agire su due dimensioni: quello delle competenze, attraverso programmi avanzati di formazione per tenere il passo dell’evoluzione tecnologica, e quello do un’organizzazione che si muove su progetti ancor più che su funzioni aziendali, attingendo a risorse che possono essere individuate all’interno dell’ecosistema in cui si opera”.
Il terzo trend ha a che fare con la Platform economy. Ormai le aziende leader dei vari settori di mercato hanno compreso appieno le potenzialità, in termini di nuove opportunità di crescita, dei modelli di business basati su piattaforme tecnologiche, che stanno dando vita a un profondo cambiamento dello scenario macroeconomico globale. A conferma di questo, l’81% degli intervistati ha dichiarato che entro tre anni i modelli di business basati su piattaforma saranno uno dei pilastri della strategia di crescita delle proprie organizzazioni.
L’ossimoro Predictable Disruption introduce invece un fenomeno sempre più rilevante: il rapido emergere degli ecosistemi digitali sta poi gettando le basi della prossima ondata di innovazione “disruptive”, che sarà in grado di cambiare profondamente interi settori e mercati. “Le aziende più lungimiranti e intraprendenti possono ottenere un vantaggio competitivo analizzando e prevedendo come cambieranno gli ecosistemi in cui operano”, spiega Secondi, citando l’81% dei partecipanti al sondaggio, secondo cui, infatti, esiste già un cambiamento in atto all’interno del proprio settore in questo senso.
I quattro trend sopra citati sono tutti legati a doppio filo dal tema del Digital Trust. L’83% dei manager e professionisti intervistati dice che la fiducia è una pietra angolare dell’economia digitale. “Non esiterei a parlare ormai di ethical data”, dice Valerio Romano, Managing Director Infrastructure Services di Accenture per Italia, Europa Centrale e Grecia. “Da una parte le aziende devono raccogliere sempre più informazioni per servire meglio i propri clienti, dall’altra è necessario un controllo pervasivo e granulare di come vengono utilizzate, mantenute integre e riservate, senza mai perdere di vista le fonti da cui provengono. Del resto sta aumentando anche l’attenzione dei clienti: ci si aspetta che i dati siano usati in modo etico, e il business risponde sempre più frequentemente creando comunità che di fatto si autoimpongono precise regole, in aggiunta agli obblighi di legge. E sappiamo bene che, nel mondo digitale, chi non si adegua viene automaticamente espulso dal mercato”.