L’Italia digitale non ha più alibi. Con l’approvazione – anche se in via preliminare – dei decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione, firmata dal ministro della PA e Semplificazione Marianna Madia, è stata completata la cornice normativa che permetterà alla macchina pubblica di fare il tanto atteso salto nel digitale. Ci sono le regole attuative per mettere in opera il sistema di identità digitale, quelle per il domicilio elettronico, l’istituzione di un Freedom Information Act e il taglio alle società pubbliche, anche dell’Ict. Ma soprattutto si mette nero su bianco il principio per cui la carta non avrà più valore nelle comunicazioni con la PA: tutti gli utenti, imprese e cittadini, avranno un domicilio digitale entro dicembre 2017 e le eventuali comunicazioni cartacee inviate dall’amministrazione al cittadino non avranno alcun valore. Uno di switch off “dolce” che il Paese attende da 20 anni e che ora non può più aspettare, pena la perdita di competitività del sistema economico nel suo complesso.
Perché una PA ne efficiente e innovativa attrae gli investimenti, soprattutto quelli stranieri. E non è un caso, forse, che due colossi del digitale come Apple e Cisco abbiano annunciaato l’intenzione di investire in Italia – la prima con l’apertura di un centro di R&S a Napoli, la seconda mettendo sul piatto 100 milioni di dollari per programmi di e-skills e per la crescita delle startup – proprio in concomitanza con il colpo di acceleratore dato da Palazzo Chigi alla riforma.
Dunque ora la sfida è tutta da giocarsi sul terreno dell’execution. Da superare c’è un ostacolo non da poco, forse quello che in questi anni ha frenato più di altri– più delle mancanza di risorse e della volontà politica di agire realmente il cambiamento – ovvero l’eccessiva burocratizzazione dei processi interni alla PA: del modo di lavorare e di pensare di chi opera nel pubblico.
Lo spiega bene Guido Melis, professore ordinario all’università Sapienza di Roma e uno dei massimi studiosi della della PA in Italia. “Si tratta di un problema che riguarda le procedure, il modo in cui è strutturato l’apparato organizzativo, il personale e soprattutto la sua età – evidenzia Melis – Il 50% dei dipendenti pubblici ha tra i 40 e i 50 anni e, i qualche caso, si arriva anche a 60.
Nei quadri dirigenti la media degli anziani raggiunge quasi il 54%: abbiamo la dirigenza più anziana d’Europa. Abbiamo bisogno di un radicale rinnovamento, serve formare dirigenza meno numerosa, più preparata, più forte culturalmente e capace di affermare il proprio ruolo”. Le parole d’ordine? “Razionalizzazione e ringiovanimento: l’obiettivo è quello iniettare competenza, rendere gli impiegati più mobili e anche un po’ meno protetti”, avvisa l’esperto. E il governo guidato da Matteo Renzi sembra averlo capito. L’Agenzia per l’Italia digitale è impegnata in un’attività interna di monitoraggio e mappatura delle risorse dell’amministrazione che, servirà, “nel medio periodo” – assicurano dal ministero della PA e Semplificazione – a redigere una strategia che favorisca l’allineamento tra competenze, formazione al digitale e domanda. L’intenzione è quella di far arrivare preparati i dipendenti pubblici allo switch off previsto nel 2017, quando sarà completata l’Anagrafe unica e tutti gli italiani saranno dotati di pin unico e di domicilio digitale.
Per Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, il pacchetto di decreti è la rappresentazione plastica della volontà riformatrice del governo. Ma non basta: ora è necessario un più incisivo coinvolgimento delle imprese dell’Ict.
“Serve – dice Catania – creare un collegamento forte tra le istituzioni e le imprese in modo che l’Agenda digitale venga finalmente realizzata. Penso a una collaborazione stretta e continuativa sui grandi progetti Paese: lo Spid o all’Anpr, iniziative per le quali la chiave di volta è la partnership pubblico-privato. Ecco, per progetti così importanti è necessaria un’azione di co-design e co-programmazione tra governo e industria per strutturare modelli di business sostenibili”.
Ecco perché i player di settore auspicano che nella nuova conferenza permanente per l’innovazione tecnologica, istituita appunto con i decreti siano chiamate a partecipare anche le aziende. “Quella struttura deve essere aperta alle impresa- dice Catania – Non per portare a casa contratti ma per disegnare la nuova Italia”.