Aspettando Godot. E sì perché le alterne vicende della banda larga italiana sembrano talvolta delle pièce del teatro dell’assurdo. Ieri si sono annunciati grandi proclami, oggi si aspetta nel silenzio. Dopo la botta a Telecom nella partita per la fibra, il governo non ha dato ulteriori segni su come intende investire nella costruzione della rete di telecomunicazioni a banda ultralarga.
Soprattutto non si capisce la posizione della Commissione europea e la coerenza di questi investimenti con quelli fatti anche dagli altri operatori privati. E’ stato detto che l’intervento verrà usato solo nelle zone a fallimento di mercato. Stavolta però la rete resterà pubblica. Addio agli investimenti a fondo perduto che in passato sono stati, soprattutto da parte di Telecom Italia, per costruire l’infrastruttura di broadband. La posa dei cavi sarà appaltata in parte a società private, ma la rete no. In sostanza si torna indietro e lo Stato rientra nelle telecomunicazioni.
Chiusa la stagione dei condomini tra operatori, dovrebbe aprirsi quella dei bandi per l’assegnazione di 2,2 miliardi di fondi pubblici sbloccati ad agosto da Renzi. Si stanno studiando le linee guida da fornire a Infratel, società pubblica che gestirà le gare e diventerà in seguito proprietaria della nuova rete di telecomunicazioni dello Stato.
Si dovrebbero quindi preferire gli operatori che non offrono anche servizi di telefonia e dunque Enel che ha appena costituito una società ad hoc per la posa della fibra (Enel Open Fiber), e che a giorni dovrebbe presentare il suo piano industriale. Enel deve sostituire 33 milioni di contatori dislocati in ogni angolo del Paese. Quelli della fibra sono perciò soldi utili anche per la realizzazione del piano di sostituzione. Ma su questo punto si potrebbe aprire una questione delicata.
Il mercato elettrico è liberalizzato e soggetto alla vigilanza e alla regolazione di un’apposita authority.
Sovvenzionare indirettamente Enel potrebbe non far tornare i conti non solo con gli operatori di telecomunicazione, ma anche con quelli elettrici. Resta poi sullo sfondo la questione delle reti locali realizzate dalle regioni o da altri enti territoriali. Si aspetta con apprensione la costituzione di un catasto, di un repertorio delle varie reti esistenti e soprattutto del loro caratteristiche.
Insomma, fatta la strategia ci sono diverse incognite. Il tempo passa e gli obiettivi dell’Agenda digitale si allontanano. Quello che più conta é che siamo desolatamente indietro nell’uso delle opportunità offerte dalla rete.
Non c’è l’infrastruttura adeguata e non c’è stimolo a dotarsene. Su questo punto la confusione é ancora maggiore. Non basta dare a tutti i cittadini di un indirizzo digitale (iniziativa comunque meritoria), lo Stato deve fare di più come amministrazione e come propulsore di sviluppo.
Non sarebbe male, ad esempio, se si collegassero alcuni sgravi fiscali, soprattutto alle imprese, alla dotazione di un accesso alla rete ultrabroadband o comunque se rivedesse il contenuto del servizio universale nelle telecomunicazioni, per dare a tutti la possibilità di un accesso digitale.