IL FOCUS

Identità e domicilio digitale, si apre la partita dei servizi

Le norme attuative dello Spid ci sono tutte, a mancare è ancora una visione digitale della macchina pubblica. La scommessa si vince diffondendo la cultura dell’IT

Pubblicato il 09 Feb 2016

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«Anche gli italiani saranno cittadini digitali». Con queste parole il premier Matteo Renzi ha presentato le novità riguardanti la riforma del Codice dell’amministrazione digitale che dà una cornice normativa definitiva ai due tasselli fondamentali della cittadinanza digitale: lo Spid (Sistema pubblico di identità digitale) e il domicilio digitale. Il governo ha messo a punto tutte le condizioni perché l’identità digitale diventi il metodo di accesso privilegiato ai servizi della PA, mentre sono state superate tutte quelle criticità – i rilievi del Garante Privacy sulle regole emanate dall’Agenzia per l’Italia digitale e la mancata definizione del modello di business dei gestori – che avevano impedito di raggiungere l’obiettivo dichiarato in un primo momento di 3 milioni di identità digitali già a fine 2015. Lo scorso 23 dicembre Antonello Soro ha dato l’ok al regolamento aggiornato mentre l’Agenzia sta lavorando alle convenzioni con i primi provider accreditati: Infocert, Poste e Telecom Italia.

Tutto è pronto e la sfida adesso riguarda la velocità di implementazione del progetto. Bisogna, in pratica, rendere al più presto accessibili in modalità digitale il più alto numero possibile di servizi.

Intanto sono partite le amministrazioni già coinvolte nella fase di test: sei Regioni – Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana -, tre PA centrali come Agenzia delle Entrate, Inail, Inps e una locale, il Comune di Firenze; complessivamente saranno resi disponibili online 300 servizi. In un primo tempo non è previsto lo switch off – l’Inps, ad esempio, per bocca del suo presidente Tito Boeri, ha detto che lo sportello resterà comunque la modalità privilegiata di interazione col cittadino perché “basata sul rapporto di fiducia e volontà di inclusione”. Da Palazzo Chigi fanno sapere che lo switch off sarà progressivo e che quello totale è previsto per la fine del 2017 quando tutti i cittadini saranno dotati di pin unico e i servizi saranno online. Con lo switch off graduale, è prevista l’adesione graduale di altri enti anche in concomitanza con l’adesione all’Anagrafe Unica.

Ma mantenere troppo a lungo la doppia modalità non rischia di generare confusione? “Il digital first – fanno sapere dal governo a CorCom – è un processo, un cambiamento soprattutto culturale che interessa sia il back office della PA sia gli utenti. La progressione nello spegnimento dell’analogico è stata la scelta più adeguata”. In pratica per fare l’identità digitale bisogna fare i cittadini digitali. Come spiega anche Eugenio Prosperetti, avvocato e docente della Luiss. “Superati gli scogli normativi all’attuazione, occorrerà un lavoro intenso e non breve, nei successivi 24 mesi per convincere i cittadini a dotarsi di Spid e le amministrazioni ad utilizzare, cosa peraltro obbligatoria, Spid nei propri processi in maniera semplice”. In questo senso il tandem, Spid-domicilio digitale dovrebbe rendere il cittadino capace di “resistere” alla voglia della PA di continuare a usare la carta. Il successo di Spid dipende dal fatto che i cittadini lo impieghino convintamente, formando così una massa critica che metta le il pubblico in condizione di digitalizzare i propri processi. Stesso discorso anche per il binomio Cie-Spid. Ancora da Palazzo Chigi spiegano che la decisione di rilanciare la carta di identità elettronica non è in conflitto con il pin unico. Anzi. “Immaginiamo – dicono – un’associazione forte tra lo Spid e la Cie: per il cittadino che ha la carta elettronica dovrà essere più facile avere il pin unico e i servizi Spid dovranno essere potenziati dalla Cie. In questo modo si andrebbe a chiudere il cerchio della cittadinanza digitale”. Ed è in questo contesto che Agid sta spingendo sugli e-skills. L’Agenzia in questi mesi organizzerà attività di comunicazione massiva, ma anche di formazione per il personale delle amministrazioni, sia di tipo tecnico che gestionale. In cantiere anche l’organizzazione di attività di accompagnamento che contempli anche task force di supporto a livello territoriale.

I 24 mesi previsti come periodo massimo di adesione delle amministrazioni saranno scanditi con un monitoraggio serrato– la promessa arriva dal ministro Madia – con l’obiettivo di consentire l’inclusione della gran parte della popolazione, oltre che per valutare attentamente l’adeguatezza delle scelte normative e tecniche adottate.

“È per questa ragione determinante – spiega Nello Iacono degli Stai Generali dell’Innovazione – che l’azione di diffusione dell’identità digitale sia realizzata in modo del tutto organico sia con il programma di sviluppo delle competenze digitali, come positivamente si evince nel documento strategico della Coalizione per le competenze digitali , sia con la necessaria riorganizzazione dei processi delle pubbliche amministrazioni, per cui è altrettanto importante delineare un percorso di supporto e accompagnamento, oltre che con una sensibilizzazione adeguata verso le imprese, che hanno la possibilità di definire nuovi servizi, sempre più personalizzati”.

La diffusione dell’identità digitale è un processo dove la componente tecnica è necessaria ma non sufficiente: il punto nuovo che rappresenta uno dei cambiamenti di maggiore impatto del funzionamento della macchina pubblica.

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