«In passato ci si limitava ad assemblare piani regionali e si procedeva in ordine sparso. Ora, per la prima volta, non solo tutte le Regioni condividono un piano nazionale, i suoi obiettivi e la decisione di una rete pubblica in tutte le aree bianche, ma sono d’accordo sull’utilizzo congiunto delle risorse regionali e nazionali e sul criterio di ripartizione».
È un tema a cui tiene molto, quello della banda ultralarga, il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli. Dopo l’accordo chiuso con le Regioni sulla ripartizione di 3 miliardi tra Fsc e fondi regionali (“un passo decisivo”), entro fine febbraio la versione finale del piano a banda ultralarga dovrebbe arrivare ufficialmente sul tavolo di Bruxelles. Poi ci sarà il capitolo bandi, il più spinoso, visto che dai criteri di gara dipenderà la discesa in campo di questo o quell’operatore e quindi l’intero “andamento” del Piano.
“Saranno mesi impegnativi, ma intanto si va avanti sui progetti”, dice a CorCom Giacomelli. Nei giorni scorsi è stato annunciato il Piano Bul Sardegna per la realizzazione di una rete di proprietà pubblica che interesserà 324 comuni per un totale di 507.577 cittadini e 278.768 unità immobiliari. E in 15 Comuni (per un totale di 48.196 cittadini e 56.521 unità immobiliari) verrà realizzata una rete Fttb/h.
Sottosegretario quali altri progetti sono in ballo?
La Sardegna ha giocato d’anticipo. Pur se gli interventi fanno leva sui fondi regionali della precedente programmazione, il Piano è stato interamente modulato sulla base degli obiettivi 2020. E così vale per le altre sette regioni anch’esse in campo con Piani Bul, ossia Abruzzo, Calabria, Marche, Lazio, Puglia, Lombardia, Toscana, per un totale di 700 Comuni coinvolti. Questa è la dimostrazione che si sta andando avanti ancor prima dei via libera formali e dei bandi di gara. Di fatto le risorse della vecchia programmazione sono già stati riconvertiti ai nuovi obiettivi, è come se fossero interventi già “attuativi” del Piano Bul.
L’accordo con le Regioni segna un passo importante. Allo studio ci sarebbe la comproprietà della rete pubblica proprio fra Infratel e le Regioni. Può spiegare meglio?
Intanto ci tengo a dire che l’accordo con le Regioni è il primo del suo genere. In passato sono stati fatti sempre accordi “bilaterali” fra il Mise e le singole Regioni, mentre con questo accordo abbiamo voluto dare un imprinting politico differente. Ci sono regioni già molto avanti sull’infrastrutturazione grazie ai bandi Eurosud e quindi è necessario che i fondi regionali disponibili nell’ambito del Piano Bul siano ripartiti sulla base delle esigenze nazionali, altrimenti ci troveremo di fronte a un nuovo digital gap. In pratica i fondi saranno assegnati dando la priorità alle aree più in difficoltà, ossia quelle maggiormente sguarnite di reti di nuova generazione. Riguardo alla comproprietà della rete fra Infratel e le Regioni è un modello su cui si sta ragionando proprio per garantire la migliore ripartizione delle risorse ed un’adeguata gestione delle stesse. L’idea è quella di una sorta di “cabina” che dia unitarietà agli interventi e metta a fattor comune risorse e obiettivi, fondi statali e regionali. Il tutto con una sorta di proprietà pro-quota.
L’attuale mappatura, ossia i 94mila e passa cluster in cui è stato ripartito il territorio, sono sufficienti a garantire la copertura totale del territorio?
Ricordo che la consultazione con la suddivisone del territorio nazionale in 94mila aree offre una fotografia molto più capillare e puntuale che in passato quando si consideravano solo i comuni. Le consultazioni annuali serviranno proprio a fare una ricognizione della situazione e quindi a regolarci di conseguenza sulla base degli interventi effettuati e dei piani degli operatori. L’obiettivo è quello di verificare con la massima puntualità quali siano gli interventi privati e in quali zone vengano effettuati. Gli operatori saranno chiamati a sottoscrivere impegni e a rispettarli e stiamo verificando con la Commissione europea le modalità più consone all’attuazione del piano e alla relative verifiche. L’Italia non può permettersi di arrivare al 2020 scoprendo che ci sono zone del Paese in cui le reti di nuova generazione non sono arrivate per questioni di “mappatura”.
Veniamo ai bandi. Come si sta procedendo?
La discussione è in corso. Stando all’ultima consultazione l’intervento diretto nelle aree bianche (cluster C e D) coinvolge circa 7.300 Comuni, di cui 5.500 non raggiunti dalla banda ultralarga. Le unità abitative nelle aree bianche sono circa 8,8 milioni per una popolazione di circa 19 milioni. Entrando nello specifico dei bandi posso dirle che per cominciare Infratel sta valutando come utilizzare le infrastrutture già esistenti in modo da abbattere i costi ed i tempi di realizzazione delle nuove reti. Sicuramente ci saranno tre momenti separati che riguarderanno realizzazione delle reti, gestione e manutenzione, attivazione dei servizi. Dobbiamo dare risposte precise e stiamo lavorando. Di sicuro serve un modello che consenta ad esempio che la gestione della rete sia effettuata con tecniche che consentano l’accensione della rete stessa.
È possibile che chi realizzerà la rete ne sia anche il gestore?
È possibile ma è anche possibile il contrario. Stiamo esplorando e approfondendo le varie opportunità per trovare il modello che meglio risponda alle esigenze del Piano banda ultralarga.
La scelta del modello diretto da parte del Cobul ha inevitabilmente sparigliato le carte. La proprietà della rete in mano pubblica di sicuro non incoraggia le telco. Che vantaggi avrebbero a realizzare una rete di cui non sarebbero proprietari? E, soprattutto, che vantaggi avrebbe un’azienda come Enel?
Se Enel deciderà o no di scendere in campo è una decisione che spetta all’azienda. Di sicuro Infratel farà una sorta di call per verificare l’interesse degli operatori. La mia opinione è che Enel si sia organizzata sulla base dei propri obiettivi legati alla sostituzione dei vecchi contatori. Se poi decide di mettere a disposizione del piano nazionale della fibra la propria infrastruttura ben venga.