Evitare che si creino “buchi neri” all’interno delle aree bianche e grigie, ossia che si generi un gap fra gli obiettivi annunciati dagli operatori in tema di posa della fibra e reale copertura del territorio. Una questione non da poco considerato che in ballo c’è il raggiungimento dei target europei al 2020 nonché di quelli, per certi versi persino più ambiziosi, messi nero su bianco dal governo italiano nel Piano Banda Ultralarga.
Stando a quanto risulta a CorCom le 94mila e passa aree (i cosiddetti cluster) in cui è stato suddiviso il territorio italiano a seguito della consultazione Infratel potrebbero non essere più sufficienti a garantire la piena realizzazione del Piano. La decisione del governo di optare per la realizzazione di una rete a totale proprietà pubblica di fatto “svincola” gli operatori di Tlc da qualsiasi obbligo riguardo ai livelli di copertura: mentre il modello a “incentivo” (contributo pubblico per la realizzazione di reti in capo alle telco) avrebbe infatti consentito di fissare obblighi in capo alle telco, le scelta della rete di Stato obbliga lo Stato stesso a garantire le coperture. Non solo: agli operatori, in fase di consultazione, è stato chiesto di rivelare in quali aree, grigie e bianche, siano intenzionati ad investire “percentualmente” di qui al 2018 e non di indicare le tratte specifiche di collegamento.
Una modalità che non si sposa con le rinnovate esigenze della rete di Stato: il modello a percentuale non consente di conoscere nel dettaglio quali sono le porzioni del cluster cablate e quali no, quindi diventa complesso individuare eventuali buchi neri. Si badi bene che le aree grigie e bianche non corrispondono solo ad aree rurali, montane e piccoli centri urbani, ma anche a zone periferiche delle grandi città (a volte interi quartieri) e ad aree in cui sono localizzati distretti industriali. Stando alle stime a seguito della consultazione Infratel nelle aree C e D si concentrerebbe il 35% circa della popolazione italiana e di qui al 2018 il 36,3% delle unità immobiliari non sarebbe collegato ad alcuna rete a banda ultralarga, mentre solo il 21,42% del totale sarebbe collegato in modalità Fttx. Il tutto a fronte di obiettivi al 2020 che prevedono il 100% del territorio raggiunto dai 30 Mbps e l’85% del territorio a 100 Mbps.
Inoltre per verificare l’esito concreto di quanto annunciato dagli operatori non si potrà far altro che attendere. Ma cosa accadrebbe se nel 2018 si scoprisse una situazione a macchia di leopardo? Sarebbe in grado lo Stato di correre ai ripari in tempo con la roadmap? Quali sono potenzialmente le aree del Paese più a rischio? Aspettare il 2018 è un rischio. Ed è per questo che la matassa va dipanata ora. Lo sanno bene i consulenti e i tecnici della squadra di Renzi, in particolare il team del Cobul, che stanno verificando le varie opzioni in campo – discutendone anche con la Commissione Ue secondo quanto risulta al nostro giornale – per definire la migliore modalità operativa. La discussione si starebbe concentrando in particolare su una revisione della parcellizzazione dei cluster.
E in ballo ci sarebbe più di un’ipotesi: ricalcolare il numero dei cluster sulla base delle sezioni di censimento Istat che nelle grandi città corrispondono tendenzialmente ai singoli isolati mentre nei piccoli centri fanno il paio con i quartieri. Le sezioni di censimento sono circa 150mila, un numero dunque quasi doppio rispetto ai 94.645 cluster in cui è stato suddiviso il territorio. E 150mila sono anche gli armadi Telecom: potrebbero essere le “unità” dell’operatore il metro di riferimento anche considerato che ragionando in termini di armadi si potrebbero conoscere nel dettaglio gli immobili serviti o servibili? Secondo quanto risulta a CorCom questa potrebbe essere una delle soluzioni, ma c’è anche chi vorrebbe “rincarare” la dose e utilizzare le cabine di Enel (circa un milione) come nuovi cluster.
L’aumento dei cluster non è però l’unica opzione sul campo: il governo starebbe valutando anche la possibilità di eventuali meccanismi “sanzionatori” in capo agli operatori che forniscono informazioni poco precise. Ma questa strada è piuttosto complessa in termini di fattibilità in tempi utili visto che non esistono precedenti e che dunque servirebbero delle regole nuove e il via libera della Commissione Ue. Ecco perché la “ri-mappatura” dei cluster appare la strada più favorita: sempre secondo quanto risulta al nostro giornale si punta a ridefinire i parametri già nella prossima consultazione annuale, quella che sarà avviata dopo l’estate, in modo da poter modulare i bandi del 2017 sulla base di criteri più puntuali. Nel 2017 saranno 450 i milioni disponibili per le nuove reti, in aumento dai 300 stanziati dal Cipe per il 2016.