L’Export italiano che passa attraverso canali digitali vale circa 6 miliardi di euro e rappresenta ancora una quota marginale, di poco superiore al 4%, delle esportazioni totali di beni di consumo. La maggior parte del fatturato dell’Export online è riconducibile ai grandi retailer online, seguiti dai marketplace (come eBay) e dai siti di vendite private. Il settore più esportato attraverso canali digitali è il Fashion, che pesa per oltre il 65% delle vendite online oltreconfine, mentre gli altri comparti tipici del Made in Italy, ossia Food e Design, hanno un’incidenza più contenuta con circa il 15% ciascuno. E i principali mercati di sbocco restano quelli occidentali (Europa e Usa) con l’aggiunta di Giappone e Russia, mentre sono poco presidiati Cina e Sud America.
Questi sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Export della School of Management del Politecnico di Milano presentata questa mattina a Milano al convegno “Export e Digitale, un binomio niente male”. La Ricerca rileva come pesi complessivamente 1,5 miliardi di euro l’Export online “diretto”, in cui l’interazione con il cliente finale è gestita da un operatore con ragione sociale italiana, attraverso i siti dei produttori (come Diesel, Giordano Vini, Ermenegildo Zegna), i siti di retailer online o multicanale (come LuisaViaRoma, Yoox Ner-à-Porter Group) o i marketplace “italiani” (come eBay.it). L’Export online diretto è riconducibile per il 70% circa al Fashion, seguiti dal Food e dall’Arredamento/Home Design, con il 10% ciascuno. Il canale più rilevante è quello dei retailer nazionali che valgono per il 60%, mentre il 25% è generato da siti propri di aziende produttrici e il 15% da marketplace con dominio .it.
Vale invece 4,5 miliardi di euro l’Export online “indiretto”, attraverso i siti di eCommerce dei grandi retailer online stranieri (ad esempio Zalando, JD.com, Suning.com), i grandi marketplace (Amazon ed eBay con domini stranieri, Tmall.com) o i siti delle vendite private internazionali (Vente-privee.com, VIP.com) che acquisiscono prodotti in Italia per poi venderli in tutti i paesi in cui sono presenti. Anche in questo caso, la quota più rilevante (65%) è riconducibile al Fashion, mentre Food e Arredamento/Home Design pesano ciascuno per il 17%. Il canale più significativo è quello dei retailer online stranieri con oltre la metà del totale transato, seguiti dai marketplace con un terzo e dai siti delle vendite private con poco più del 10%.
“L’utilizzo dell”innovazione digitale per l’Export è un’opportunità per competere a livello internazionale ancora poco utilizzata dalle aziende italiane – afferma Riccardo Mangiaracina, Direttore dell’Osservatorio Export –. La limitata diffusione dell’eCommerce a supporto dell’Export di prodotti è un segno evidente delle difficoltà delle nostre imprese nell’utilizzo del canale online che, se da un lato consente di ridurre le distanze col consumatore finale, dall’altro non elimina le difficoltà logistiche, normative e commerciali, oltre a quelle legate alla comunicazione e ai pagamenti. È necessario studiare le caratteristiche dei vari Paesi e dei settori per mettere a punto modelli di Export in grado di sbloccare il potenziale dei canali digitali”.
Lo scenario macroeconomico dell’Export. Oltre un quarto della domanda finale italiana è riconducibile ai mercati esteri che, visto il calo della domanda interna, sono sempre più importanti per la nostra economia. Il Made in Italy è un fattore chiave per il successo delle esportazioni verso i Paesi emergenti, ma i Paesi europei restano ancora i principali mercati di sbocco. L’Osservatorio Export ha analizzato lo scenario macroeconomico italiano rilevando come la cosiddetta “propensione all’Export” – il rapporto tra valore complessivo delle esportazioni e PIL – si attesti mediamente oltre il 25% e abbia superato il 29% nel 2014. Oltre il 20% delle imprese manifatturiere attive in Italia, circa 89.000, è esportatore. Negli ultimi anni, la rilevanza dei mercati esteri è cresciuta, per la maggiore incidenza della domanda estera su quella interna: il fatturato medio delle imprese italiane all’estero nel 2015 è cresciuto del 18% rispetto al 2010, a fronte di una caduta sul mercato interno di circa 10 punti.
“Questa dicotomia è dovuta sia a fattori congiunturali come la diversa velocità di ripresa della domanda dopo la crisi finanziaria internazionale, sia a fattori strutturali per via del crescente peso dei mercati emergenti extra-europei, anche in presenza di alcuni rallentamenti – spiega Lucia Tajoli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Export -. Di certo, le esportazioni rivestono un ruolo sempre più centrale per l’economia italiana e per lo sviluppo delle imprese nazionali. Competere a livello internazionale è un’opportunità che le aziende italiane devono sfruttare fino in fondo, rivedendo se necessario le proprie strategie di Export e sfruttando le opportunità offerte dai canali digitali. Oggi, la ricerca dei mercati esteri, dei settori ottimali in cui collocarsi e dei modelli di esportazione più appropriati assume un ruolo fondamentale per tutta l’economia italiana”.
Nel 2014 la domanda estera netta, ossia la differenza tra esportazioni e importazioni, ha contribuito a contenere il calo del PIL per il terzo anno consecutivo. Le esportazioni di beni e servizi sono cresciute del 2,7%, raggiungendo quasi 475 miliardi di euro (di cui 387 da esportazioni di beni e 98 di servizi): un dato che fa dell’Italia l’ottavo esportatore di merci a livello mondiale e quattordicesimo per i servizi. I dati 2015 (non ancora definitivi) mostrano un’ulteriore accelerazione dell’Export (+3,5%). I Paesi dell’Unione Europea rimangono i principali mercati di sbocco delle esportazioni italiane, con un peso complessivo superiore al 50%, grazie alla vicinanza geografica, l’assenza di barriere doganali, la somiglianza di regolamentazioni e abitudini commerciali. Gli USA sono il terzo Paese di sbocco e il primo mercato non europeo, seguito, tra i mercati extra-europei dalla Cina, dove i margini di crescita sono ancora ampi, vista la quota di mercato italiana relativamente bassa e il progressivo ampliamento della classe media potenzialmente interessata al Made in Italy.
Il Food e il Fashion. L’Export è un’attività consolidata per le aziende del Food e del Fashion (rispettivamente il 12% e il 7% del totale delle esportazioni, secondi solo al settore dei macchinari e apparecchi meccanici) che si basa però prevalentemente su canali tradizionali e ancora poco sull’eCommerce, principalmente a causa di un utilizzo non corretto dei canali commerciali online, della mancata comprensione dei vincoli legali e delle inadeguate strategie di comunicazione. Sono le principali conclusioni emerse dalla survey dell’Osservatorio Export su un campione di 110 aziende (sia produttori sia retailer) nei settori Food e Fashion.
L’80% delle aziende è costituita da esportatori abituali che destinano ai mercati esteri una quota significativa del fatturato, in media il 46%. Ma circa la metà delle aziende (48%) utilizza esclusivamente canali offline, solo l’1% esporta tramite una strategia online pura, mentre il 28% varia la propria strategia a seconda del Paese di destinazione e il 23% persegue costantemente una strategia multicanale. Le principali barriere all’eCommerce oltreconfine sono l’incapacità di usare adeguatamente i canali commerciali online (45%), le difficoltà legate alla comunicazione (16%) e le complessità di natura legale (16%). Una parte delle aziende, circa il 13%, è invece frenata da caratteristiche del prodotto (ad esempio la necessità della temperatura controllata per i prodotti freschi). Ben il 70% delle aziende che non utilizza l’online desidera iniziare e identifica negli Stati Uniti, i Paesi Europei e la Cina le destinazioni più appetibili. Il 58% delle imprese ritiene utile il supporto di aziende locali (con cui attivare una partnership) e/o di intermediari commerciali qualificati, Il 53% pensa che le piattaforme di eCommerce siano un importante abilitatore dell’Export, ma che e non siano adeguate e sufficientemente numerose.
L’eCommerce in Cina. L’eCommerce rappresenta una chiave di ingresso di straordinaria importanza nel mercato cinese. Dalla survey emerge che il canale commerciale più utilizzato per vendere in Cina è la rete fisica di importatori locali (69% delle 110 aziende rispondenti), mentre solamente il 22% dei rispondenti utilizza una piattaforma di eCommerce e solo il 16% ha un sito Internet proprio.
Per l’export online in Cina poi sono decisive le soluzioni logistiche. Per prodotti di basso valore (1-30 €/unità), come ad esempio la pasta, è conveniente localizzare uno o più magazzini in Cina ed effettuare il trasporto via nave, per prodotti con un valore medio-basso (30€-90€) e volumi contenuti è preferibile il treno. Per i beni con un valore maggiore (oltre 90€), come ad esempio abbigliamento di fascia alta o vino pregiato, la soluzione ottimale risulta essere la localizzazione di un punto di transito (hub) in Cina con trasporto aereo, poiché gli elevati costi di trasporto sono più che compensati dal contenimento dei costi relativi alle scorte.
In Cina inoltre bisogna affrontare il problema dei pagamenti: quelli online sono riconducibili a un numero limitato di player nazionali, mentre il canale mobile è in forte crescita, ma solo il 18% delle aziende italiane offre la possibilità di pagare tramite Alipay (principale operatore del mercato mobile), mentre sono più diffusi i pagamenti tramite carte di credito internazionali (82%) e trasferimento bancario (50%). Un altro ostacolo all’eCommerce in Cina è costituito dall’eccessiva regolamentazione e incertezza legislativa per i fenomeni di pirateria e contraffazione rendono difficile la vendita in Cina tramite eCommerce.
L’eCommerce in Usa. Nonostante la vasta offerta del mercato eCommerce americano, le aziende italiane non riescono a sfruttare appieno i canali commerciali disponibili online in Usa. Circa la metà (49%) delle 110 aziende rispondenti alla survey si rivolge a importatori o a retailer fisici per vendere in USA. In alcuni casi questa scelta è dettata da vincoli normativi, in altri a complessità relative sia alla comunicazione (costi elevati delle campagne in un mercato affollato) sia alla logistica distributiva (evidentemente non semplice su un territorio lontano e ampio).
Una delle difficoltà legate all’utilizzo dei canali eCommerce indiretti in Usa è riuscire a emergere differenziandosi dagli altri player: spesso le aziende italiane preferiscono promuovere la propria iniziativa con un sito individuale usando strumenti tipici del contesto occidentale (ad esempio SEO, SEM, ad network). La strategia logistica per l’eCommerce in USA poi deve tener conto della vastità geografica del territorio, della numerosità degli Stati, delle peculiarità di ciascuno Stato e delle eventuali imposizioni normative. La maggior parte delle aziende italiane (il 60%) ha deciso di localizzare il magazzino in posizione baricentrica rispetto a tutte le aree (ad esempio in Kentucky) oppure duplicare la propria presenza con una struttura sulla costa Est e una sulla costa Ovest (33%). Tra le modalità di trasporto intercontinentale, la nave è preferita all’aereo e utilizzata in oltre i due terzi delle aziende (68%).
I pagamenti online in Usa avvengono prevalentemente con carta di credito, mentre Paypal costituisce al momento l’unica alternativa significativa sul mercato. Tra le questioni legali, i principali fattori da considerare per vendere online in USA sono la normativa fiscale e doganale, la protezione del marchio, il rispetto delle condizioni di vendita e di reso; in caso di vendita diretta è inoltre consigliabile l’apertura di un’apposita società.