«Non toccare i fili pericolo di morte». Per chi ha qualche anno in più questa frase scritta su un cartello con tanto di teschio e tibie incrociate non era così rara da leggere. Poi le norme sulla sicurezza sono aumentare e i cartelli sono diminuiti. L’inquietante ammonimento però non ha perso la sua efficacia e anche il suo valore simbolico. Oggi ci sono fili e fili, ma quelli più pericolosi, metaforicamente parlando, sono i telefonici.
Nel marasma della larga banda nazionale chiunque tocca il tema delle infrastrutture rischia di farsi male. Una specie di maledizione egizia scaturita anni fa dal sarcofago di Telecom e che non ha trovato ancora uno sciamano in grado di toglierla di mezzo. L’Italia affanna nello sviluppo delle reti di nuova generazione. I piani governativi sono come gli aquiloni in una giornata di bonaccia. Gli operatori privati fanno e disfano alleanze (ultima in ordine di tempo quella con Metroweb), ma all’orizzonte di concreto assai poco. Se non bastasse tutto questo, ricompare la questione Telecom.
Alla situazione da anni claudicante del nostro principale operatore, rischiano di sommarsi i problemi brasiliani (Telecom fattura una quota considerevole in quel paese). La recessione carioca e le oscillazioni dei cambi hanno determinato una contrazione dei ricavi. Tutto in aggiunta a un margine operativo che non cessa di scendere e degli incerti andamenti del titolo in borsa (un po’ su e un po’ giù ). Si parla sempre di cessioni (sembra arrivato il turno dell’Argentina). Insomma, non si capisce se c’è da temere, anche sul piano occupazionale, oppure qualcosa si muove. Telecom è privata (con un azionariato di controllo molto magmatico), ma nonostante tutto è l’azienda che gestisce la più strategica infrastruttura del paese.
Chi se ne occupa? Il governo segue la vicenda? Quest’ultimo recentemente sembra più che altro interessato a Telecom Sparkle (la società del gruppo che gestisce i collegamenti internazionali), non si sa se per via degli spioni globali o delle sorti industriali della stessa. I tempi sono difficili (l’economia non riparte) e il divario tecnologico con gli altri paesi europei aumenta. Cosa succede in Telecom non è cosa di poco conto. Per il momento non resta che accontentarci delle ottimistiche previsioni del suo amministratore a margine della presentazione dei conti del 2015 e del piano industriale del gruppo fino al 2018.
Un piano basato soprattutto sullo sviluppo dell’ultrabroadband, la banda ultralarga, definito il punto di maggior rilievo nella ripresa industriale dell’azienda (Telecom conferma gli obiettivi al 2017 che prevedevano di raggiungere il 95% del territorio e il 75% delle famiglie con fisso e mobile’ e per il 2018 una copertura del 98% del territorio con la rete mobile Lte (il 4G) e dell’84% delle famiglie con la fibra ottica con un investimento, nel triennio, di 12 miliardi di cui 3,6 per la fibra ottica e 6,7 dedicati allo sviluppo cosiddetta ‘componente innovativa’, tra cui cloud e piattaforme). Vedremo se Telecom ce la farà, mentre turbini di tempesta si annunciano sul nostro povero continente.