LO STUDIO

Rivoluzione crowd working: la sharing economy cambia il lavoro

Svolta in vista per i modelli di impiego ma anche per le retribuzioni. In Svezia il 12% della popolazione già lavora grazie alle piattaforme online e il 24% ci sta provando. I sindacati europei: “La Ue trovi regole che uniscano innovazione e diritti”

Pubblicato il 14 Mar 2016

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L’economia digitale in Europa va verso un modello di “crowd working”, e cioè basato su nuovi strumenti informatici e digitali. Questo il risultato di una ricerca pubblicata oggi, a Roma, in occasione dell’apertura della Conferenza regionale di Uni Europa, la Federazione europea dei sindacati del settore servizi, “Cambiamo insieme l’Europa”, che proseguirà nei prossimi due giorni.

Centinaia di sindacalisti sono stati invitati al convegno per discutere sul ruolo dei sindacati, sul relativo potere negoziale a fronte dei datori di lavoro e delle istituzioni, e sulla loro capacità di aiutare i lavoratori a svolgere mansioni di qualità, per un’Europa più giusta ed equa. La ricerca, durata un anno e promossa dalla Fondazione europea per gli studi progressisti (Feps) e da Uni Europa (con il sostegno di numerosi affiliati, tra cui Unionen), analizza come la cosiddetta “sharing economy” ha cambiato radicalmente il mercato del lavoro nella Ue e nel resto del mondo.

Il Regno Unito e la Svezia sono i primi di una serie di Paesi ad aver reso noti i dati del sondaggio. Seguiranno, nei prossimi mesi, Austria, Germania, Spagna, Paesi Bassi e Italia. Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, rivolgendosi a quasi 1.000 dirigenti sindacali, ha dichiarato: “Il rapporto pubblicato oggi si riferisce alla Svezia, ma i risultati sono rappresentativi per l’intera Europa, compresa l’Italia. La crescente economia detta crowd working è parte del nuovo mondo del lavoro e ha un potenziale di sviluppo positivo per la società”.

“In questo momento, stiamo vedendo principalmente l’aspetto negativo di un mercato del lavoro quasi completamente non regolamentato, sulla coesione sociale e la crescita sostenibile. È la dimostrazione della necessità di modificare il modello di sviluppo, di lottare per un lavoro davvero dignitoso e di chiedere all’Ue il varo di standard minimi comunitari da applicare in tutti i Paesi europei”, ha proseguito Camusso.

I dati sulla Svezia mostrano che il 12% della popolazione (circa 737.000 unità) sta già lavorando nell’economia digitale basata sulle piattaforme on-line, mentre il 24% sta cercando di trovare lavoro attraverso le nuove tecnologie. Nel Regno Unito 5 milioni di persone vengono pagate mediante le piattaforme online; di queste, più di 3 milioni sono regolarmente impegnate in varie forme di crowd working.

Gli strumenti informatici offrono diversi tipi di lavoro: da lavori d’ufficio che si possono svolgere da casa ad attività rapide e “click work”, fino a lavori di tipo off-line nell’ambito della prestazione di servizi di pubblica utilità.

L’indagine, nel Regno Unito, ha rivelato che i benefici del “crowd working” per i lavoratori sono di gran lunga inferiori agli svantaggi, vale a dire lavoro precario senza coperture sociali, come indennità di malattia, ferie, contributi pensionistici o garanzie di salario minimo. Le pratiche di crowd-sourcing non prevedono alcun pagamento a titolo di imposte sul reddito né versamento di contributi sociali. Ciò potrebbe comportare, in futuro, il rischio di mancati introiti fiscali e previdenziali per gli Stati, quindi una perdita di risorse economiche per la collettività.

Per il segretario regionale di Uni Europa, Oliver Roethig, “il tema della nostra conferenza è cambiare l’Europa insieme. L’Europa sta cambiando, con noi o senza di noi. Invece di aver paura del cambiamento, vi lancio una sfida: quella di essere entusiasti, carichi, e persino euforici. L’Europa sta cambiando, a prescindere. Noi possiamo fare la differenza su come cambiarla”.

“Siamo lieti di accogliere i nostri colleghi europei a Roma per discutere dei prossimi traguardi e prendere decisioni ambiziose sul
modo in cui vogliamo affrontarle, come movimento sindacale in Europa”, ha concluso infine Mario Petitto, vicepresidente di Uni Europa, ribadendo che “le sfide per i lavoratori da affrontare al giorno d’oggi non si fermano ai confini nazionali” e che ”è necessario un lavoro comunitario di squadra per ottenere risultati soddisfacenti”.

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