Mancano programmatori e ingegneri informatici nelle avanzatissime aziende tecnologiche israeliane, ma è difficile riempire le posizioni vacanti perché le società hi-tech locali sono tradizionalmente restie ad assumere arabi o ebrei ortodossi. Il governo israeliano sta cercando gradualmente di chiudere il gap e portare le minoranze nella florida industria hitech del paese, per garantirne la crescita e la competitività futura.
Un quinto della popolazione israeliana è costituita da una minoranza araba, per lo più residente nella regione settentrionale della Galilea. Pochissimi di questi arabi (meno del 3%) sono impiegati oggi nel settore hitech, non da ultimo perché le aziende tecnologiche sono concentrate nelle zone centrali di Israele, o lungo la costa, lontano dalla Galilea.
Anche gli ebrei ultra-ortodossi appartengono a una minoranza emarginata dal mondo hitech. Gli ortodossi e gli arabi rappresentano insieme un terzo circa della popolazione israeliana: una fetta rilevante che il governo vuole aiutare a uscire dall’isolamento e a mettersi in contatto con la fiorente industria hitech nazionale. Per esempio ha sponsorizzato l’organizzazione Tsofen che mira a integrare gli arabi nell’hitech con corsi di programmazione.
Uno dei motivi dell’esclusione di queste minoranze dal mondo hitech è che pochissimi tra gli arabi e gli ortodossi servono nell’esercito israeliano, che è invece (soprattutto per quel che riguarda i reparti di intelligence come la Unit 8200) una fonte primaria di contatti e risorse umane per l’industria tecnologica. Per motivi di sicurezza, per ragioni ideologiche o semplice discriminazione, le aziende hitech israeliane hanno evitato finora di assumere arabi o oltranzisti.
Il governo è intervenuto per sanare questa spaccatura sia perché le minoranze rappresentano le fasce povere della popolazione, legate a lavori manuali, sia perché sono le classi con i più alti tassi di natalità e nel tempo potrebbero pesare negativamente sull’economia israeliana se non vengono aiutate ad avanzare nell’istruzione e a inserirsi in lavori competitivi. Sono stati introdotti quindi sgravi fiscali per le tech companies che assumono le minoranze e assegnati fondi per la formazione. Gradualmente le aziende, spinte dalla carenza di lavoratori qualificati, cercano di aprirsi ai candidati che arrivano dalle minoranze arabe e ortodosse.
Al tempo stesso, alcuni rappresentanti della minoranza araba hanno preso l’iniziativa e avviato le loro start-up tecnologiche. Il centro di queste attività è Nazareth, capoluogo della Galilea, dove ad esempio Jamil Mazzawi, laureato alla Technion di Haifa, la principale università tecnica israeliana, nel 1993, e specializzatosi negli Stati Uniti, ha fondato nel 2014 Optima Design Automation, che produce software per testare e certificare i microchip usati nelle automobili. All’inizio Mazzawi si è auto-finanziato (come arabo, non ha trovato lavoro nel mondo hitech israeliano, né finanziatori per la sua impresa) ma ora è in cerca di investitori per far crescere la sua azienda. “E’ nell’interesse di Israele portare gli arabi nel mondo hitech”, dice. “Ma è un problema per gli imprenditori arabi israeliani trovare finanziamenti”.
Un’altra start-up, MondoLife, con sede a Haifa, è stata creata da un team di arabi e ebrei; sviluppa software di cyber security per apparecchi connessi a Internet. Il co-fondatore Rami Khawaly dice che anche in famiglia gli arabi non vengono sostenuti nella carriera di startupper dell’hitech.
Fadi Swidan, co-fondatore del Nazareth Business Incubator Center (NBIC), sottolinea: “Per i venture capitalist, se uno è fuori dal ‘Triangolo’, ovvero da quella zona del centro di Israele dove si trovano tutte le aziende hitech, è fuori dall’ecosistema”. Il NBIC, che è sostenuto con fondi governativi, ha offerto programmi di accelerazione anche per Optima Design Automation e ora ha lanciato un programma volto a collegare l’emergente mondo hitech prevalentemente arabo della Galilea con il consolidato e vasto ecosistema che ha centro a Tel Aviv.