Furto di dati, installazione di malware e creazioni di finte onde di ira ed entusiasmo sui social per aiutare il presidente messicano Enrique Peña Nieto a vincere le elezioni nel 2012. Elezioni manipolate in tutta l’America Latina, dal Nicaragua a Panama passando per Honduras, El Salvador, Colombia, Costa Rica, Guatemala e Venezuela.
E infine il Messico, dove l’hacker Andrés Sepúlveda ha fatto il lavoro più impegnativo. A rivelarlo è stato lo stesso Sepùlveda a Bloomberg, raccontando in un’intervista di aver viaggiato il tutto il continente americano per “condurre una guerra sporca, con operazioni di ingegneria sociale, black propaganda (un tipo di propaganda utilizzata per togliere credito ai rivali, ndr) e pettegolezzi in modo da orientare l’elettorato”. L’hacker sostiene di aver ricevuto dal team dell’allora candidato di destra e attuale presidente messicano Nieto circa 600mila dollati per i propri servizi.
Dal quartier generale del presidente del Messico smentiscono (“Quest’uomo sta farneticano, le cose che descrive sembrano uscite da un show Tv come Mr Robot”), ma le parole di Sepùlveda, arrestato in Colombia dove sconterà 10 anni di carcere, rischiano di aprire un caso politico dalla portata dirompente. Una storia alla House of Cards, fatta di big data, privacy, intrighi e sotterfugi con un’ombra sulle elezioni presidenziali in corso negli Usa: “Sono sicuro al 100% – ha detto Sepùlveda – che siano manipolate”.