“Gli Ott stanno penetrando nel mercato in maniera strategica. Una volta si pensava che le grosse telco non potessero mai sparire, ma oggi quell’argomentazione non regge più. Il loro asset più importante è la customer intimacy, il fatto cioè che con la loro rete entrano fin nelle case dei consumatori, e questo dà loro la possibilità di entrare in intimità con il cliente, conoscerne le abitudini fin nei dettagli, sondarne l’umore e raccogliere e aggregare i dati raccolti. Ma nel momento in cui anche Google comincia a cablare le città, la situazione cambia. Per questo le telco devono correre ai ripari e tornare a sfruttare al massimo le proprie potenzialità e i loro asset. E io credo che un’azienda come Red Hat, con le sue soluzioni open source, sia un partner ideale in questa prospettiva”. Così Massimo Fatato, appena nominato vice president telecommunication per l’area Emea di Red Hat, analizza l’attuale scenario delle telecomunicazioni, con le grandi aziende del settore sempre più impegnate nel processo di trasformazione digitale .
Fatato, qual è l’importanza strategica del settore tlc per la sua azienda?
E’ enorme, e a dimostrarlo c’è il fatto che la prima cosa che la maggior parte delle persone fa alzandosi al mattino è controllare il proprio smartphone. E’ sempre più pressante l’esigenza da parte dei telecom provider di fornire servizi più competitivi e legati al consumo immediato, in un mercato che è cambiato in maniera decisa. Oggi il servizio deve arrivare in tempo reale, che sia consumer o b2b.
Le telco sono attrezzate per questa sfida?
In generale direi ancora di no. Hanno sistemi di gestione delle infrastrutture, dei servizi e dell’organizzazione complessi, rigidi e difficili da adattare. Ma grazie alla virtualizzazione potranno dare vita a un’offerta finalmente più agile. Certo, è necessario un cambiamento dal punto di vista dell’approccio e della mentalità, decidendo di servirsi di soluzioni open source, dove c’è una comunità che può permettere alle telco di diventare più competitive. Red Hat si posiziona proprio in questo campo, ed è l’azienda più grande che possa proporre alle telco questo tipo di approccio.
Quali sono i punti di forza di questa offerta?
Innanzitutto quello di fare leva sull’open software, mettendo a disposizione un ecosistema di partner che vanno a calzare bene sulle esigenza di un’azienda di telecomunicazioni. Già soltanto tre anni fa questo era un mondo ingessato, ma ora il mercato si è aperto a una serie di aziende che vengono dal mondo IT e che possono avere un ruolo centrale nella trasformazione infrastrutturale e tecnologica. Fino a oggi all’interno delle aziende il ruolo manageriale più forte è stato quello del Cto. Ma mano mano che l’elemento IT guadagna terreno, questi equilibri stanno cambiando. Tanto è vero che soprattutto all’estero molti gruppi hanno iniziato a rivedere il ruolo, e ad affidare responsabilità crescenti a una nuova figura, il chief digital officer. Perché al di là delle trasformazioni tecnologiche, che pure si stanno facendo, diventa sempre più importante occuparsi dei cambiamenti di organizzazione necessari per abbracciare in pieno la trasformazione digitale.
Quali obiettivi si pone nel suo nuovo incarico?
Red Hat sta entrando in un mondo dove non è un player rinomato come Ericsson, Huawei, o Nokia Alcatel-Lucent. Si tratta però di un mondo in trasformazione e che offre nuove opportunità. In ballo, al di là dei singoli obiettivi, c’è la necessità di aumentare la consapevolezza delle telco rispetto alla nostra presenza sul mercato, e in parallelo lavorare insieme agli account più strategici e per supportarli nella trasformazione dal fisico al virtuale. Questo rendendo questa trasformazione il meno difficile possibile dal punto di vista organizzativo.
In Italia è partito il piano banda ultralarga. Che tipo di opportunità rappresenta per la vostra azienda?
La banda larga oggi per avere successo deve essere un’infrastruttura virtualizzata già in partenza, flessibile, agile, per poter offrire servizi già dall’infrastruttura. Le telco devono fare uno sforzo per non rimanere semplici fornitori di tubi, mentre chi fa i profitti offre servizi che viaggiano su quelle reti. Quindi l’offerta non deve limitarsi all’infrastruttura, ma comprendere anche servizi e applicazioni abiltati da una piattaforma smart.