“Vedo che lei ha uno smartphone di ultima generazione appoggiato sul tavolo e uno smartwatch al polso, chissà quante informazioni manda ogni giorno in Rete…”. Stefano Venturi scruta con sguardo attento i due miei device appena mi siedo, anche se li nota a voce alta solo a metà dell’intervista, quando gli chiedo un giudizio sul nuovo regolamento europeo della privacy. Quando siamo attorno al tavolo in una stanza al 1° piano del Palacongressi di Rimini ha il volto sorridente, sembra più che soddisfatto dalla 2° edizione dell’Italian Partner Conference 2016 di Hpe Italy.
È al timone dell’azienda dal dicembre 2011, quando ne è diventato amministratore delegato e corporate vicepresident, e dopo 4 anni e mezzo è convinto che per l’impresa italiana sia in arrivo una nuova rivoluzione digitale, anzi una “tempesta perfetta” che ha già iniziato a soffiare vento. “Cloud, IoT, big data e robotica sono rivoluzioni pronte, sono già in mezzo a noi. Elementi atmosferici che si concentrano e che sono in grado di innalzare il livello qualitativo di tutti i fattori che compongono un business model vincente. Chi sa sfruttare questo vento forte può battere tutti”.
Lo dice stringendo un pugno che, quando gli chiedo se le aziende siano pronte a tutto ciò, quasi quasi vorrebbe sbattere sul tavolo. “Le aziende non sono ancora pronte perché affrontano i temi digitali secondo una logica a silos”, sottolinea rammaricato prima di riprendere vigore mentre mi descrive la ricetta che ha in mente per la digital transformation delle aziende italiane. Tra una smart grid dei data center, un’app store per il mondo enterprise e le nuove sfide sulle digital skill.
Lei ha utilizzato l’espressione “tempesta perfetta” per descrivere i cambiamenti in atto nel mondo IT. Digital transformation o digital revolution?
Siamo di fronte a una grande accelerazione dei cambiamenti in atto all’interno dei business model così come li abbiamo conosciuti finora. La capacità elaborativa a costi marginali garantita a tutti dal cloud sta cambiando la nostra società ancor prima delle imprese, soprattutto per un motivo: non è più una risorsa scarsa.
Certo, non sarà gratis ma è più accessibile, aprendo il tavolo di gioco del business anche alle startup o ai giovani che hanno grandi idee e che ora possono avere capacità di calcolo finora disponibili solo per le grandi corporation. Si può accorciare il time to market, tanto per citare un fattore di competitività prioritario, ma in generale si abbattono tante criticità. Il cloud computing disintermedierà moltissimi settori e sconvolgerà i piani dei centri di ricerca. Ci sono poi big data analytics, che ci aiuteranno a correlare fenomeni diversi e finora studiati in modo limitato. Una grande quantità di dati arriverà dai dispositivi IoT, senza dimenticare la robotica.
Ma le aziende sono pronte a tutto questo? Tra costi di gestione, time to market, flessibilità operativa e customer experience, su cosa le imprese sono più deboli?
Le 4 rivoluzioni che ho citato sono pronte, sono in mezzo a noi. Per quello sostengo che stiamo vivendo la tempesta perfetta’, una serie di elementi atmosferici che si concentrano e che sono in grado di innalzare il livello qualitativo di tutti i fattori che compongono un business model vincente. Chi sa sfruttare questo vento forte può battere tutti, ma le aziende non sono ancora pronte perché affrontano i temi digitali secondo una logica a silos.
Pensiamo alla divisione IT che in azienda cura la gestione dei costi e che cerca di contenerli. Se consideriamo l’esplosione dei dati e del computing sempre più utilizzati è chiaro che le spese lievitano e che ci sono forze contrastanti: da un lato una ricerca di efficienza, dall’altro richieste fortemente challenging. In tutto questo contesto ci sono gli utenti aziendali, che utilizzano anche servizi cloud esterni e tutto si complica. Questo modello non è sostenibile e blocca la messa a fattor comune dei dati in un’ottica di competitività.
Quindi secondo la vision di Hpe cosa bisogna fare per prendere vento in poppa?
Partire dalla trasformazione delle infrastrutture IT in infrastrutture ibride in cloud, che permettano di orchestrare ciò che si ha dentro l’azienda con i servizi cloud esterni e di spostare i load di carico da un server all’altro, addirittura a data center esterni. Noi crediamo che questa sia una priorità e per tale motivo tramite Cloud28+ stiamo cercando di creare una smart grid dei data center, che permetta di sfruttare la potenza residua inutilizzata.
Vogliamo anche creare un app store per il mondo enterprise, che oggi non esiste e che permetta di spostare un’applicazione da un server all’altro senza richiedere troppo tempo come accade ora. Vogliamo applicare la logica dell’on demand al mondo delle imprese, puntando su flessibilità, velocità e sicurezza. Tutto questo sfruttando al massimo il nostro ecosistema dei partner.
A proposito di sicurezza, il vostro è un punto di osservazione privilegiato. L’esplosione di cloud, big data, IoT e robotica sarà un bel problema da gestire…
Ciò che spaventa di più non è tanto che oggi centinaia di aziende subiscano attacchi, quanto il fatto che nessuno al loro interno se ne accorga. Noi stiamo puntando sulla sicurezza predittiva e lo facciamo grazie ai big data, che permettono di correlare informazioni interne ed esterne all’azienda rendendo cosciente l’impresa del livello di esposizione al rischio e dell’imminenza di un attacco.
Quelle che ha citato sono tutte innovazioni straordinarie, ma c’è bisogno di chi sappia maneggiare questo mix. Scuola, università, centri di ricerca e aziende: tutti in ritardo?
Se andiamo a misurare il tasso medio di alfabetizzazione del cittadino italiano, tanto nelle scuole quanto nelle aziende, riscontriamo grandi opportunità di crescita. Non si può pensare che sia responsabilità di qualcuno di specifico ma piuttosto è un dovere condiviso. Rispetto alla scuola, bisogna riconoscere che il Miur sta facendo da ormai 4 anni un grande lavoro di incentivo all’innovazione, che però noi come aziende dobbiamo supportare. Noi ad esempio garantiamo ad ogni nostro dipendente, e lo abbiamo fatto torturando i bilanci (sorride, ndr), fino a 60 ore di permesso retribuito per fare volontariato su iniziative validate da un Comitato ad hoc, il Social Innovation Council. E all’interno del ventaglio di iniziative ne stiamo inserendo sempre di più legate all’educazione digitale.
Stiamo inoltre supportando direttamente le attività del Ministero dell’Istruzione, come il Programma Futuro che coinvolge anche il Moige (Movimento Italiano Genitori, ndr) con attività di formazione o ancora Safe2Web, con cui facciamo conoscere a bambini, genitori e insegnanti le problematiche legate alla navigazione online, suggerendo loro come affrontarle. Partecipiamo anche ad alcune attività di Confindustria Digitale. Sappiamo che tutto questo è una goccia nel mare ma ha un grande effetto moltiplicatore. Se ci muoviamo a livello di società civile possiamo orientare la mentalità del Paese verso un’ottica digitale. Per quel riguarda gli imprenditori, è chiaro che possiamo fare di più. Noi puntiamo molto sui nostri partner, perché sedendo allo stesso tavolo e discutendo di innovazione ogni giorno è più facile creare valore.
Allarghiamo un attimo gli orizzonti all’Europa, dove tra 2 anni diventerà operativo il nuovo regolamento sulla privacy. La previsione di sanzioni fino al 4% del fatturato di gruppo in caso di violazioni potrebbe frenare l’adozione di sistemi IT che trattano big data?
Il punto di volta è nella consapevolezza degli utenti, poi sono loro a decidere a chi dare i propri dati, quali concedere e quali no. Già oggi utilizzando i device mobile forniamo moltissime informazioni, ma molti di noi nemmeno lo sanno o lo scoprono dopo molto tempo.
Eppure questo succede già da tempo. Prendiamo ad esempio un’app sul traffico stradale: trasmettiamo dati sulla velocità, segnaliamo incidenti o comunque forniamo informazioni in tempo reale. Questo crea un valore per me e gli altri utenti perché tutti possiamo risparmiare tempo, senza che venga violata la privacy.
Come Hpe stiamo lavorando a livello internazionale per creare un codice etico per l’utilizzo dei big data, per far sì che vengano utilizzati solo i dati effettivamente utili a fare business e creare valore nel pieno rispetto delle regole. Ma tutto il mondo enterprise ha un compito delicato da svolgere ora più che mai: educare e guidare gli utenti, anche e soprattutto quelli giovani. Nessuno nasce imparato, tantomeno sul digitale.